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Aborto e diritto, in Italia e nel mondo

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Il diritto all'interruzione della gravidanza sta conoscendo un momento buio, tuttavia il dibattito rimane aperto. L'Italia, però, è ancora indietro

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Pubblicato: 13/02/22

In breve

    Se in materia di diritto all'aborto, e nonostante forti ondate conservatrici, la comunità internazionale tenta di mantenere vigile l'attenzione, l'Italia sembra essersi congelata, incapace di procedere per un percorso che non sia lo stesso intrapreso negli ultimi 40 anni. Fenomeni come la elevata presenza di obiettori di coscienza in campo sanitario, l'arretratezza nell'aborto farmacologico, e lo stallo sui 90 giorni quale limite temporale per poter effettuare l'interruzione della gravidanza, richiedono più che mai l'intervento delle istituzioni, le quali non a caso sono state più volte richiamate dal Comitato Europeo dei diritti sociali a garantire l'accesso alle pratiche abortive e, quindi, a rispettare il diritto alla salute delle cittadine italiane.

Indice

1.  L'aborto nel mondo
2.  L'aborto in Italia
3.  L'aborto farmacologico
4.  Obiezione di coscienza: il diritto che nega i diritti
5.  L'aborto entro 90 giorni: rivedere i limiti temporali?

1. L'aborto nel mondo

   A livello mondiale si sono registrate forti tendenze a vietare l'interruzione della gravidanza. La Polonia ha conosciuto una ondata di conservatorismo che ha condotto a diverse iniziative del governo per limitare l'accesso all'aborto. Il 22 ottobre 2020 la Corte costituzionale della Polonia dichiarava incostituzionale la norma che consente l’interruzione volontaria di gravidanza, anche nel caso in cui dagli esami si registri la possibilità di una malattia incurabile o di malformazione del feto. Nel gennaio 2021 la sentenza viene trasposta in legge, esacerbando le proteste popolari già presenti da diversi anni.

   Negli Stati Uniti, a livello federale la storica sentenza Roe v. Wade del 1973 (ribaltata dalla Corte suprema a giugno 2022) permetteva l'aborto entro il raggiungimento della viabilità fetale (circa 24/28 settimane dall'inizio dell'ultimo periodo mestruale) e cioè entro il momento in cui un feto può sostenere la vita al di fuori dell'utero. Il governo federale rendeva comunque possibile l'interruzione della gravidanza anche dopo questo lasso di tempo, purché vi fossero pericoli per la vita e la salute (fisica e mentale) della persona incinta. Tuttavia nell'ultimo decennio si è sviluppata tra i diversi Stati una controtendenza, volta a limitare l'accesso alle pratiche abortive. Soltanto nel 2021 ben 11 Stati hanno emanato oltre 90 leggi intese a limitare l'aborto (https://www.guttmacher.org/state-policy). Nove governi degli Stati Uniti hanno approvato leggi (poi bloccate dai tribunali) che vietano gli aborti a sei settimane di gravidanza, cioè quando è possibile rilevare un presunto "battito cardiaco fetale" (si tratta invece di uno sfarfallio visibile sui monitor che segna il posto in cui andrà a formarsi il futuro organo cardiaco). In Texas, nonostante la sentenza della Corte federale, rimangono ancora in vigore le 6 settimane come limite di aborto. 

   Con ribaltamento della sentenza Roe v. Wade, la competenza a legiferare in materia di aborto è stata rimessa completamente agli Stati federati.

2. L'aborto in Italia

   La legge 194 del 1978 legalizza l'aborto in Italia, trasformando l'interruzione volontaria della gravidanza in un diritto spettante alle cittadine italiane, ponendo comunque delle limitazioni alla motivazione con la quale si avanza richiesta dell'interruzione di gravidanza. Di fatto l'aborto terapeutico è l'unico tipo di aborto legalmente possibile nella penisola. All'art. 4 della legge 194/78 si legge che l'aborto può avvenire solo qualora la donna accusi circostanze di "serio pericolo" per la sua salute fisica o psichica, solo qualora ci siano anomalie o malformazioni al feto, solo qualora le sue condizioni economiche non le consentano di portare a termine la gravidanza. C'è anche un riferimento alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, non argomentando oltre, e facendo pensare che – in una società che ancora serbava nel proprio ordinamento il matrimonio riparatore – si stesse alludendo al concepimento fuori dal matrimonio. 

   Nel XXI secolo le motivazioni economiche, cronico-psicologiche e mediche elencate dalla legge 194/78, appaiono ormai come limitazioni obsolete, volute da un governo che percepiva la necessità di trovare giustificazioni etiche conformi al senso comune più conservatore dell'epoca. Ancora oggi si palesa necessario evidenziare che una donna potrebbe desiderare l'interruzione di gravidanza semplicemente perché non è nella sua volontà portarla a termine, o perché la maternità non rientri nella sua idea di realizzazione e di libero sviluppo della sua personalità (art. 22, UDHR).

   Se quindi la legge italiana consente l'aborto terapeutico dal 1978, la presenza di un elevato numero di obiettori di coscienza tra il personale sanitario fa sì che tale diritto non venga riconosciuto nei fatti. Per questo il Comitato Europeo dei diritti sociali in passato ha ritenuto che l'Italia stesse violando l'art. 11 al para. 1 della Carta sociale europea. Secondo il Comitato, le autorità italiane non hanno intrapreso alcuna misura necessaria affinché l'aborto sia sempre accessibile, "anche quando il numero di medici e altro personale sanitario contrari è elevato". La condizione di accessibilità garantita è anche sancita dalla stessa legge 194/78, dove all'art. 9 para. 4 si afferma che "Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste" anche "attraverso la mobilità del personale" medico.

3. L'aborto farmacologico

   Dal 2009 in Italia è riconosciuto l'aborto per metodo farmacologico, ottenuto mediante l'utilizzo del mifepristone (RU486). L'Italia è arrivata in enorme ritardo sul tema, essendo che il mifepristone ha trovato approvazione già nel 1988 in Francia, nel 1991 nel Regno Unito e nel 1992 in Svezia (pag. 7, Abortion in Europe, https://eeca.unfpa.org/sites/default/files/pub-pdf/en59.pdf)

   A differenza di altri paesi UE – in cui si fa uso della RU486 in regime ambulatoriale o a domicilio –, in Italia si richiede che le pillole abortive vengano somministrate esclusivamente in ospedale, in conformità alle linee guida emanate dal Ministero della Salute. Tali linee guida si pongono tuttavia in maniera del tutto contraria alle raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Infatti l'OMS prevede che “Ai soggetti clinicamente idonei all'aborto medico può essere offerta la scelta di autosomministrarsi una combinazione di mifepristone e misoprostolo” e che tale sostanza “Può essere presa ovunque, anche a casa”. L'OMS specifica anche che “La supervisione diretta di un operatore sanitario non è richiesta” (vedere il PDF al link https://apps.who.int/iris/rest/bitstreams/1280116/retrieve).

   Anche le linee guida dell'Ipas, organizzazione internazionale non governativa per l'accesso ad aborti e contraccezioni sicuri, prevedono che “Le donne possono assumere il mifepristone in una struttura o a casa” (vedere le note per il link).

   Difronte a quello che è un vero e proprio ostruzionismo istituzionale all'aborto farmacologico, non sorprende che l’ultimo rapporto ministeriale con i dati del 2019 attesti a solo il 24,9% gli aborti in Italia effettuati con metodo farmacologico. Questo dato rende l'Italia incapace a reggere il confronto con i paesi del resto del mondo.

4. Obiezione di coscienza: il diritto che nega i diritti

   Gli ordinamenti di Svezia, Islanda e Finlandia non contemplano l'obiezione di coscienza quale diritto spettante al personale sanitario. Alcuni tra i paesi che ammettono l'obiezione di coscienza hanno invece messo in atto forti misure al fine di garantire l'accesso all'aborto. Ad esempio in Irlanda gli operatori sanitari non possono rivendicare l'obiezione di coscienza laddove si presenta un rischio immediato per la vita o la salute della donna. La Nuova Zelanda, invece, nel 2020 ha aggiornato la legge sull'obiezione di coscienza, imponendo al personale medico che la invoca l'obbligo di fornire nell'immediatezza alla persona che ricerca i servizi, i dati di contatto del fornitore più vicino del servizio richiesto. 
La nuova sezione 14 del CSA Act neozelandese, è visionabile al seguente link:
https://legislation.govt.nz/act/public/1977/0112/latest/whole.html#DLM18175

   In Italia l'obiezione di coscienza per il personale sanitario è prevista dall'art. 9 della legge 194/78, che nello specifico consente a chi la invoca di non prendere parte alle procedure abortive. Un ulteriore passo per rafforzare il diritto all'obiezione di coscienza è stato fatto nel 2004, quando la legge 40 ha introdotto l'obiezione di coscienza per il personale sanitario in relazione “alle procedure per l'applicazione delle tecniche di fecondazione assistita” (art. 16). Nel 2017 fu la volta della legge 219, che pur non prevedendo alcuna forma di obiezione di coscienza, lascia al personale medico la possibilità di interrompere, o rifiutarsi di interrompere, le cure su di un pazienze, anche laddove queste possano causare indirettamente la morte dello stesso. Si stavano mettendo le mani avanti, ovviamente, su tematiche inerenti il c.d. accanimento terapeutico e l'eutanasia.

   Come intuibile, l'alto tasso di obiettori di coscienza è frutto di una cultura che trae origine, consolidamento e giustificazione, da diverse iniziative avvenute nella storia della repubblica. Nel 1991 con la sentenza 467/91 la Corte costituzionale italiana si esprimeva a favore del riconoscimento dell'obiezione di coscienza in ambito militare. Due decenni più tardi, nel 2012, il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) si dichiarava a favore dell'obiezione di coscienza, questa volta in materia sanitaria, riconoscendola “costituzionalmente fondata (con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo)” (pag. 18, Obiezione di coscienza e bioetica, 12 luglio 2012) e affermando che essa assume “la funzione di istituzione democratica” affinché non possa venire negata “in modo autoritario la problematicità relativa ai confini della tutela dei diritti inviolabili” (pag. 10).

   Poco più di un anno dopo dalle affermazioni del CNB, nel 2013 il Comitato Europeo dei diritti sociali rilevava una violazione da parte dell'Italia dell'art. 11 (diritto alla salute) della Carta sociale europea, poiché l'elevato numero di obiettori di coscienza aveva reso l'aborto – di fatto – inaccessibile alle donne italiane, obbligandole a doversi spostare tra regioni per poter accedere alle pratiche abortive. La sentenza poneva fine al caso International Planned Parenthood Federation – European Network (IPPF EN) v. Italy.

   Nel 2015 sarebbe giunta un'altra condanna, ancora da parte del Comitato Europeo e ancora per la violazione dell'art. 11 della Carta sociale, ancora con inerenza alla mancata garanzia dell'accesso all'interruzione di gravidanza, e con l'aggiunta del trattamento discriminatorio perpetrato nei confronti degli operatori sanitari non obiettori. Era il caso CGIL v. Italy.

   Al 2018, gli ultimi dati disponibili completi sulla situazione italiana in materia di accesso alle pratiche abortive fotografano una realtà tutta a discapito dei diritti delle donne. Le percentuali di obiettori di coscienza che si registrano tra i ginecologi sono al 69%, tra gli anestesisti al 46,3%, tra il personale non medico al 42,2%. Su scala regionale le cifre diventano esorbitanti. In Molise il 92% dei ginecologi è obiettore di coscienza, in Sicilia l'82,7%, in Veneto il 70,3%, nella provincia di Bolzano l'87,2%. 

   Benché dall'ultimo rapporto ministeriale si denotasse una vera e propria crisi nella tutela del diritto all'aborto, i governi italiani che si sono susseguiti hanno palesato una immobilità  cronica in materia di interruzione volontaria della gravidanza. Nel gennaio 2021 il Comitato Europeo pubblica la propria valutazione (https://rm.coe.int/findings-ecrs-2020/1680a1dd39) sugli interventi intrapresi dall'Italia a seguito delle violazioni rilevate nel 2013 e nel 2015. Nel testo, oltre a ritenere che la situazione nel paese non si sia ancora adeguata ai principi della Carta sociale europea, il Comitato richiede ai governi italiani di fornire dati pertinenti l'accesso alle pratiche abortive durante la pandemia da covid-19.

   Il 16 settembre 2021 il Ministero della Salute pubblica la relazione sull'attuazione della legge 194/78, presentando i dati del 2019 e quelli (provvisori) del 2020 sulla interruzione volontaria della gravidanza. Per quanto riguarda i dati sugli obiettori di coscienza, viene riportato nella relazione: "Nel 2019 le Regioni hanno riferito che ha presentato obiezione di coscienza il 67,0% dei ginecologi, il 43,5% degli anestesisti e il 37,6% del personale non medico".

5. L'aborto entro 90 giorni: rivedere i limiti temporali?

   La legge 194/78 impone un limite di tempo di 90 giorni oltre il quale non è più possibile effettuare l'aborto terapeutico. Tuttavia all'art. 6 della stessa si prevede anche la possibilità, in caso di rischio di salute per la persona incinta, di interrompere la gravidanza oltre il novantesimo giorno di gestazione: “l'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: 1) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; 2) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

   Oltre a quelle contemplate dall'art. 6, non esistono altre eccezioni ai 90 giorni. Con questo limite temporale l'Italia si colloca in una posizione intermedia all'interno di una ipotetica classifica europea. Tuttavia il confronto non reggerebbe qualora dovessimo allargare lo sguardo al panorama mondiale. Tenendo da conto che i 90 giorni equivalgono all'incirca a 12/13 settimane, possiamo fare un paragone con alcuni paesi:

Croazia – il limite temporale per accedere alle pratiche abortive è di 10 settimane;

Norvegia – pone un massimo limite di 12 settimane;

Svizzera – 12 settimane;

Russia – 12 settimane, che diventano 22 settimane se la gravidanza è stata frutto di stupro. L'aborto può essere invece praticato in qualsiasi momento qualora ci fossero seri rischi di salute per la donna;

Spagna – 14 settimane;

Francia – nel 2022 una nuova legge ha esteso il diritto ad accedere ai servizi abortivi da 12 settimane a 14 settimane, a seguito di un dibattito instauratosi durante la pandemia da Covid-19.  Durante la pandemia, infatti, diversi operatori sanitari hanno richiesto al governo di estendere di 2 settimane il limite temporale entro il quale è possibile praticare l'interruzione della gravidanza; ciò ha trovato il consenso del Parlamento che il 23 febbraio 2022 ha approvato il testo che estende il periodo di aborto da 12 a 14 settimane  di gravidanza (16 dall'ultimo ciclo mestruale; fonte: https://www.assemblee-nationale.fr/dyn/15/dossiers/renforcement_du_droit_a_lavortement?etape=15-PROM). Dal 2001 alle minorenni non viene richiesto il consenso dei genitori per abortire. Il periodo di attesa obbligatorio di 7 giorni è stato abolito nel 2015.

Germania – 12 settimane. Fino al 2019 era divieto assoluto, per ospedali e cliniche private, pubblicizzare le pratiche di interruzione della gravidanza. La legge, nota come "divieto di pubblicità", proibiva ai professionisti anche solo di menzionare che fornivano aborti. La riforma del 2019 ha reso possibile pubblicizzare online i servizi abortivi, ma comunque non consentiva di rendere noti ulteriori dettagli, inclusi i metodi, le cure necessarie o i rischi associati alla procedura. A giugno 2022 viene definitivamente abolito il para. 219a del codice penale tedesco, risalente all'epoca nazista, che vietava ai medici di pubblicizzare le pratiche di interruzione della gravidanza.

Austria – 3 mesi; nello specifico, l'aborto può essere praticato entro le prime 16 settimane (16a settimana esclusa). 
https://www.oesterreich.gv.at/en/themen/frauen/schwangerschaftsabbruch.html

Svezia – i limiti per praticare l'aborto su richiesta sono a 18 settimane, estesi dalle iniziali 12 settimane previste nel 1975 e abolite nel 1996. Dal 2008 anche le straniere possono abortire in Svezia senza dover esibire permessi speciali;
https://www.rfsu.se/contentassets/48adfec3a7254bd590c07c79766000a8/en_om_abort.pdf 

Giappone – in accordo alla Legge di tutela della maternità, l'aborto è consentito entro 21 settimane e 6 giorni di gestazione dall'ultimo ciclo mestruale. Dopo 22 settimane, è necessario un motivo medico;

Paesi Bassi – l'aborto può essere eseguito fino a che il feto non raggiunge la c.d. viabilità, vale a dire fino a quando non diviene possibile per il feto vivere al di fuori del corpo della madre pur mediante l'utilizzo di  macchinari. Il codice penale olandese calcola questo limite a 24 settimane;
https://www.government.nl/topics/abortion/question-and-answer/what-is-the-time-limit-for-having-an-abortion

Stati Uniti – come i Paesi Bassi, gli Stati Uniti usano lo standard della viabilità fetale, che da individuo a individuo varia dalle 24 alle 28 settimane. Tuttavia sono state molteplici le iniziative dei singoli Stati per ridurre le pratiche di interruzione della gravidanza fino alle prime 6 settimane di gestazione.
Per conoscere in dettaglio i limiti in vigore nei singoli Stati, consultare il seguente sito:
https://www.kff.org/womens-health-policy/state-indicator/gestational-limit-abortions/?currentTimeframe=0&sortModel=%7B%22colId%22:%22Location%22,%22sort%22:%22asc%22%7D

Canada – Nel 1988 la Corte Suprema ha depenalizzato l'aborto senza tuttavia indicare il tempo limiti entro cui risulta possibile accedere ai servizi abortivi. In linea teorica, quindi, l'aborto è legale durante i nove mesi (40 settimane) di gravidanza su tutto il territorio canadese. Ciononostante, la maggior parte delle interruzioni volontarie vengono effettuate entro le 12 settimane, mentre sono poche le cliniche che praticano l'aborto oltre le 23 settimane di gestazione, a meno che la vita della madre non sia a rischio o che il feto non presenti gravi malformazioni. 
https://www.thecanadianencyclopedia.ca/en/article/abortion

   Come si è potuto vedere, sono diversi i paesi che nel corso degli anni hanno intrapreso un dibattito, e spesso aggiornato e modernizzato le loro leggi sull'aborto e sui limiti temporali. Nel 2020 il Partito Socialdemocratico di Croazia ha tentato di estendere i limiti da 10 a 12 settimane; la Francia ha conosciuto variegati aggiornamenti nel 2001, la Svezia nel 2008. In Italia non si è aperto nessun dibattito degno di nota, e nel paese vige ancora il divieto di pubblicità delle tecniche e dei farmaci abortivi, coerentemente a quanto dichiarato dagli  (ancora in vigore) artt. 112 e 114 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, già presenti nella versione originaria del 1931.

   Se inoltre si tiene conto che molti dei paesi che presentano limiti temporali stringenti vantano comunque un'alta percentuale di aborti farmacologici, rapidi e meno invasivi, si palesa appieno lo status d'inerzia dell'Italia sull'interruzione volontaria della gravidanza. È chiaro che sia arrivato il momento anche per il nostro paese di intraprendere un percorso di rinnovamento nelle tematiche legate all'interruzione della gravidanza, percorso che se può apparire rivoluzionario al nostro parlamento, emerge ormai come una consuetudine negli altri paesi.

Fonti non citate:

Guttmacher Institute, State Bans on Abortion Throughout Pregnancy:
https://www.guttmacher.org/state-policy/explore/state-policies-later-abortions

Ministero della Salute, Interruzione volontaria di gravidanza:
https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?id=4476&area=Salute%20donna&menu=societa

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Legge 194 del 1978:
https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1978-05-22&atto.codiceRedazionale=078U0194&elenco30giorni=false

Ministero della Salute, rapporto 2018;
i dati inerenti l'obiezione di coscienza sono illustrati alla tabella 28:
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2924_0_alleg.pdf

Washington Post, Texas’s six-week abortion ban remains in effect after federal appeals court ruling: https://www.washingtonpost.com/politics/courts_law/texas-abortion-law/2022/01/17/d18b848a-7256-11ec-b202-b9b92330d4fa_story.html

OMS, Medical management of abortion:
https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/278968/9789241550406-eng.pdf

OMS, pagina inerente l'aborto in Giappone:
https://abortion-policies.srhr.org/country/japan/#legal-ground-and-gestational-limit

Ipas, Home use of medications up to 11 weeks gestation:
https://www.ipas.org/clinical-update/english/recommendations-for-abortion-before-13-weeks-gestation/medical-abortion/home-use-of-medications-up-to-11-weeks-gestation/


_______

Aggiornamento del 06/05/2022: aggiunti dettagli sull'aborto in Canada.
Aggiornamento del 04/02/2023: aggiornati dettagli sull'aborto in Germania; aggiornato lo stato della Roe v. Wade per gli Stati Uniti.




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