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Dlgs 231/2001, aggiornato e in sintesi

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ll dlgs. 231/2001 che disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, spiegato in sintesi

Aggiornato:

Pubblicato: 03/07/23

Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (dlgs. 231/2001, spesso riportato erroneamente come dlgs. 231/01) disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, stabilendo le sanzioni in caso di illecito, nonché le procedure in materia di indagini preliminari e di esecuzione delle sanzioni.

I soggetti, ex art. 1, verso cui si applica il dlgs. 231/2001, sono:

  • gli enti forniti di personalità giuridica;

  • società e associazioni anche prive di personalità giuridica.

Il dlgs. 231/2001, sempre ai sensi dell'art. 1, non si applica:

  • allo Stato;

  • agli enti pubblici territoriali;

  • agli enti pubblici non economici;

  • agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Criteri di attribuzione della responsabilità

   Gli enti con sede principale nel territorio dello Stato possono essere ritenuti responsabili per i reati commessi all'estero, a meno che lo Stato in cui è avvenuto il reato non intraprenda azioni legali contro di loro (art. 4).

   Prescindendo dal fatto che l'ente può essere ritenuto responsabile per un reato anche se l'autore del reato non è identificato o non è imputabile (art. 8), l'ente è ritenuto responsabile per i reati commessi da persone che svolgono ruoli di rappresentanza, amministrazione o direzione dell'ente o delle sue unità organizzative autonome, nonché da coloro che esercitano il controllo o la gestione dell'ente (art. 5). Tuttavia, ai sensi dell'art. 6, comma 1, l'ente non sarà ritenuto responsabile per il reato commesso se lo stesso può dimostrare di aver adottato e attuato adeguati modelli di organizzazione e gestione volti a prevenire reati della stessa specie, e se ha un organismo interno di vigilanza con poteri autonomi per monitorare e garantire il rispetto di tali modelli (che negli enti di piccole dimensione può corrispondere all'organo dirigente, ex art. 6, comma 4).

   Il dlgs. 24/2023 ha aggiornato l'art. 6, comma 2bis, dlgs. 231/2001, introducendo alcuni requisiti aggiuntivi per i modelli di organizzazione e gestione dell'ente ai fini della prevenzione dei reati, in conformità alla direttiva UE 2019/19371. Tali requisiti sono volti a garantire l'efficacia dei modelli di organizzazione e gestione nell'individuare e prevenire i reati, e includono: l'istituzione di canali di segnalazione interna, che consentono ai dipendenti (i cd. whistleblower) di segnalare violazioni o comportamenti illeciti all'interno dell'ente (whistleblowing); il divieto di ritorsione, che impedisce qualsiasi forma di sanzione o discriminazione nei confronti di coloro che segnalano presunti illeciti; l'adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare eventuali violazioni delle misure previste nel modello.

Dlgs 231/2001, riassunto
dlgs. 231/2001, a chi si applica e sanzioni, in sintesi

Le sanzioni

   Elencate all'art. 9 del dlgs. 231/2001, le sanzioni comprendono:

  • multe pecuniarie: è stabilito che per l'illecito amministrativo si applica sempre la sanzione pecuniaria (art. 10) e che il giudice determina il numero di quote della sanzione pecuniaria considerando la gravità del fatto, la responsabilità dell'ente e le azioni intraprese per ridurre le conseguenze del reato e prevenire ulteriori illeciti (art. 11).

  • misure interdittive: le sanzioni interdittive si applicano ai reati in cui è prevista la loro applicazione esplicita. Ciò accade quando l'ente ha ottenuto un profitto di notevole entità dal reato e quando il reato stesso è stato commesso da individui in posizioni di rilievo o soggetti a direzione esterna, e siano presenti carenze organizzative gravi che hanno facilitato la commissione del reato. Inoltre, le sanzioni interdittive possono essere applicate anche in caso di reiterazione degli illeciti (art. 13). Le sanzioni interdittive non vengono applicate qualora a) l'ente abbia risarcito il danno ed eliminato le conseguenze del reato; b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative adottando modelli di prevenzione; c) l'ente ha messo a disposizione il profitto per la confisca (art. 17);

    • Inoltre può essere stabilita l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività se l'ente ha tratto un profitto significativo dal reato e ha già subito almeno tre condanne di interdizione temporanea nell'arco degli ultimi sette anni (art. 16).

  • confisca dei beni: con la sentenza di condanna, viene disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato commesso dall'ente. Se la confisca diretta non è possibile, possono essere confiscate somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto ottenuto attraverso l'illecito (art. 19).

  • pubblicazione della sentenza di condanna: eseguita a spese dell'ente condannato a una sanzione interdittiva. La pubblicazione della sentenza avviene ai sensi dell'art. 36 del codice penale e mediante affissione nel comune ove l'ente ha la sede principale (art. 18). La pubblicazione della sentenza di condanna è pagata dall'ente sanzionato e si attua in conformità all'art. 694, commi 2, 3 e 4, del codice di procedura penale (art. 76).

Responsabilità patrimoniale e vicende modificative dell'ente

   Solo l'ente è responsabile del pagamento delle sanzioni pecuniarie con il suo patrimonio o con un fondo comune. I crediti dello Stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell'ente hanno privilegio simile ai crediti dipendenti da reati secondo il codice di procedura penale, equiparando la sanzione pecuniaria alla pena pecuniaria (art. 27).

   Qualora l'ente dovesse subire una trasformazione (come ad esempio un cambiamento nella sua struttura giuridica o nel suo status legale), la responsabilità per i reati commessi prima della trasformazione continua a essere attribuita all'ente, e non viene trasferita o eliminata a causa del cambiamento (art. 28). Oltretutto, viene stabilito che quando due o più enti si fondono insieme, l'ente risultante è responsabile per i reati commessi dagli enti che partecipano alla fusione (art. 29). Al contrario, nella scissione dell'ente, l'ente originale rimane responsabile dei reati precedenti mentre gli enti beneficiari della scissione condividono l'obbligo di pagare le sanzioni pecuniarie. Tuttavia tali enti sono tenuti a pagare le sanzioni pecuniarie solo fino all'importo corrispondente al valore del patrimonio netto che hanno ricevuto dalla divisione dell'azienda originale (art. 30).

   All'art. 33 si stabilisce che in caso di cessione – o conferimento – di un'azienda nella quale è stato commesso un reato, il nuovo proprietario (cessionario) è responsabile del pagamento della sanzione pecuniaria.

Soggetti, giurisdizione e competenza

   Stabilito che in materia di illeciti amministrativi dell'ente la competenza spetta al giudice penale (art. 36), viene disposto che il procedimento per l'illecito amministrativo dell'ente viene unito al procedimento penale dell'autore del reato (in altre parole significa che il procedimento legale per l'illecito amministrativo commesso da un ente viene unito al procedimento penale contro l'autore o gli autori del reato). Tuttavia, può essere condotto separatamente in determinate circostanze, come la sospensione del procedimento penale o la necessità di rispettare le disposizioni processuali (art. 38).

   L'ente partecipa al procedimento penale attraverso il suo rappresentante legale, a meno che quest'ultimo sia imputato del reato correlato all'illecito amministrativo. L'ente si costituisce depositando una dichiarazione contenente le informazioni richieste e conferendo una procura, che viene depositata presso l'ufficio competente. Se il rappresentante legale non è presente, l'ente viene rappresentato dall'avvocato difensore (art. 39).

   La prima notificazione all'ente segue le disposizioni dell'articolo 154, comma 3, del codice di procedura penale. Tuttavia, le notificazioni effettuate consegnando al rappresentante legale, anche se imputato del reato, sono valide. Se l'ente ha dichiarato o eletto un domicilio, le notificazioni avvengono secondo le disposizioni dell'articolo 161. Se le notificazioni non possono essere effettuate in questi modi, l'autorità giudiziaria può disporre ulteriori ricerche. Se le ricerche non hanno successo, il procedimento può essere sospeso su richiesta del pubblico ministero (art. 43).

Misure cautelari

   Il pubblico ministero può richiedere l'applicazione di una sanzione interdittiva se esistono gravi indizi di responsabilità dell'ente e il pericolo concreto di commettere altri illeciti simili. Il giudice decide sulla richiesta mediante un'ordinanza e indica le modalità applicative della misura. In alternativa, il giudice può nominare un commissario giudiziale per un periodo corrispondente alla durata della misura interdittiva, soprattutto se questa potrebbe pregiudicare la continuità dell'attività svolta in stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale (art. 45).

   Il giudice, nel decidere sulle misure cautelari, tiene conto dell'adeguatezza di ciascuna misura rispetto alle esigenze cautelari specifiche del caso. Le misure devono essere proporzionate alla entità del fatto e alla sanzione per l'ente. L'interdizione dall'esercizio dell'attività può essere applicata solo se tutte le altre misure risultano inadeguate. Inoltre, le misure cautelari non possono essere applicate congiuntamente (art. 46).

   Ai sensi dell'art. 47, il giudice competente per l'applicazione, revoca e modifiche delle misure cautelari è quello che procede nel caso. Durante le indagini, invece, provvede il giudice per le indagini preliminari. Si applicano anche le disposizioni dell'art. 91 del dlgs. 271/1989.

   Se la richiesta di applicazione della misura cautelare viene presentata al di fuori dell'udienza, il giudice fissa una data per l'udienza e avvisa il pubblico ministero, l'ente e i difensori. L'ente e i difensori possono esaminare la richiesta presso la cancelleria del giudice (art. 47, comma 2).

   Nell'udienza, si osservano le forme dell'art. 127, commi da 1 a 6 e comma 10, del codice di procedura penale, con i termini previsti ai commi 1 e 2, ridotti a 3 e 5 giorni. Il periodo tra la presentazione della richiesta e l'udienza non può superare i quindici giorni (art. 47, comma 3).

   Le misure cautelari possono essere revocate d'ufficio quando le condizioni previste dall'art. 45 non sono più presenti o quando ricorrono le ipotesi indicate nell'art. 17. Quando le esigenze cautelari si attenuano o la misura applicata non è più proporzionata al fatto o alla possibile sanzione definitiva, il giudice può, su richiesta del pubblico ministero o dell'ente, sostituire la misura con una meno grave o modificarne le modalità, anche riducendo la durata (art. 50). In ogni caso, la durata della misura cautelare non può superare un anno e quattro mesi (art. 51)

Sequestro preventivo e conservativo

   Il giudice può disporre il sequestro delle cose soggette a confisca, seguendo le disposizioni agli articoli 321, commi 3, 3-bis e 3-ter, 322, 322-bis e 323 del codice di procedura penale. In particolare, se il sequestro è finalizzato alla confisca per equivalente, il custode amministratore giudiziario può consentire l'utilizzo e la gestione degli oggetti sequestrati agli organi societari, ma solo per garantire la continuità e lo sviluppo aziendali.

   Se il sequestro riguarda stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, si applicano disposizioni specifiche previste nell'articolo 104-bis, commi 1-bis.1 e 1-bis.2, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al dlgs. 271/1989 (art. 53, dlgs. 231/2001).

   Se esiste una fondata ragione che le garanzie per il pagamento delle sanzioni pecuniarie, delle spese del procedimento e di altre somme dovute all'erario dello Stato siano insufficienti o siano a rischio di dispersione, il pubblico ministero può chiedere il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili dell'ente o delle somme o cose a esso dovute. Si applicano le disposizioni di cui agli artt. 316, comma 4, 317, 318, 319 e 320 del codice di procedura penale (art. 54).

Indagini preliminari e udienza preliminare

   L'art. 55 stabilisce che il pubblico ministero, quando viene a conoscenza di un illecito amministrativo derivante da un reato commesso da un'organizzazione, deve annotare immediatamente i dettagli dell'organizzazione nel registro previsto dal codice di procedura penale. Questa annotazione può essere comunicata all'organizzazione o al suo difensore su richiesta, nel rispetto delle norme sulla comunicazione delle notizie di reato.

   Il pubblico ministero accerta l'illecito amministrativo seguendo le stesse procedure delle indagini preliminari per il reato correlato. Il termine per l'accertamento dell'illecito amministrativo inizia a decorrere dalla registrazione dell'illecito nel registro come indicato nell'art. 55 (art. 56).

   Se il pubblico ministero non contesta l'illecito amministrativo entro i termini previsti, emette un decreto di archiviazione degli atti. Il procuratore generale ha la facoltà di effettuare accertamenti aggiuntivi e, se ritenuto opportuno, può contestare le violazioni amministrative all'ente entro sei mesi dalla comunicazione dell'archiviazione (art. 58).

   Il giudice dell'udienza preliminare può emettere una sentenza di non luogo a procedere se l'illecito amministrativo è estinto, improcedibile o non sussiste, o se gli elementi acquisiti sono insufficienti per sostenere la responsabilità dell'ente. In caso contrario, emette un decreto di contestazione dell'illecito amministrativo, specificando in modo chiaro il fatto contestato, le sanzioni applicabili, il reato da cui deriva l'illecito e le relative prove. Vengono inclusi anche gli elementi identificativi dell'ente (art. 61).

Giudizio

   Prima del dibattimento di primo grado, il giudice può sospendere il processo se l'ente richiede di riparare alle conseguenze del reato secondo l'art. 17. Se dimostra di non aver potuto farlo in precedenza, il giudice può accogliere la richiesta e imporre una cauzione. Si osservano le norme dell'art. 49 (art. 65, dlgs. 231/2001). Il giudice può emettere una sentenza di esclusione della responsabilità dell'ente se l'illecito amministrativo non sussiste o se la prova dell'illecito è insufficiente o contraddittoria (art. 66). In questo ultimo caso, il giudice dichiara la cessazione delle misure cautelari eventualmente disposte (art. 68).

   Se l'ente è responsabile dell'illecito, il giudice applica le sanzioni previste dalla legge e lo condanna al pagamento delle spese processuali. Le sanzioni interdittive indicano l'attività o le strutture colpite (art. 69), tenendo da conto che la sentenza emessa per l'ente originale si applica anche agli enti risultanti da trasformazioni, fusioni o scissioni (art. 70).

Esecuzione

   Il giudice competente gestisce l'esecuzione delle sanzioni amministrative e prende decisioni sulla cessazione dell'esecuzione, la determinazione delle sanzioni e la confisca delle cose sequestrate. Può anche autorizzare atti di gestione ordinaria in caso di interdizione dall'attività (art. 74, dlgs. 231/2001).

   L'ente viene notificato dell'estratto della sentenza che impone una sanzione interdittiva, e la durata della sanzione inizia a decorrere dalla data di notifica (art. 77). L'art. 78 stabilisce che l'ente, entro 20 giorni dalla notifica dell'estratto della sentenza, può richiedere la conversione di una sanzione interdittiva in una sanzione pecuniaria se ha adempiuto in ritardo agli obblighi previsti dall'art. 17. La richiesta deve essere presentata al giudice dell'esecuzione e accompagnata dalla documentazione comprovante l'esecuzione degli adempimenti. Il giudice, se ritiene che la richiesta non sia manifestamente infondata, può sospendere l'esecuzione della sanzione e fissare un'udienza. Se accoglie la richiesta, il giudice emette un'ordinanza che converte la sanzione interdittiva in una sanzione pecuniaria, determinando l'importo che non può essere inferiore a quello precedentemente stabilito in sentenza né superiore al doppio di tale importo. Nel determinare l'importo, il giudice considera la gravità dell'illecito e le ragioni del ritardo nell'adempiere agli obblighi dell'art. 17.

   Quando deve essere eseguita una sentenza che dispone la prosecuzione dell'attività di un ente, viene nominato un commissario giudiziale su richiesta del pubblico ministero. Il commissario riferisce regolarmente sulle attività svolte e, al termine dell'incarico, presenta una relazione sulla gestione e la confisca del profitto. Le spese sono a carico dell'ente (art. 79).

   Gli artt. 80-82 sono abrogati mediante DPR 313/2002.

Attuazione e coordinamento

   L'ente sarà soggetto solo alle sanzioni interdittive previste dal presente decreto, anche se altre leggi prevedono sanzioni simili. Se l'ente ha già ricevuto una sanzione simile, la durata già scontata viene considerata per la determinazione della sanzione amministrativa dipendente dal reato (art. 83, dlgs. 231/2001). Il provvedimento di misure cautelari e la sentenza di condanna devono essere comunicati alle autorità di controllo o di vigilanza dell'ente (art. 84).

   Ai sensi dell'art. 85 il ministro della giustizia deve adottare, entro sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto legislativo, un regolamento che disciplina il procedimento di accertamento dell'illecito amministrativo. Il regolamento deve includere disposizioni riguardanti la formazione e la tenuta dei fascicoli negli uffici giudiziari e altre attività necessarie per l'applicazione del decreto. Il parere del Consiglio di Stato sul regolamento deve essere reso entro trenta giorni dalla richiesta.


1 La direttiva UE 2019/1937 disciplina in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione. Può essere consultata in PDF al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L1937 [accesso 3 luglio 2023].

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