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Storia dell'aborto, nella bibbia e nella filosofia

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Da Aristotele a papa Sisto V, dalla bibbia alla scoperta del microscopio: come l'aborto è stato interpretato durante i secoli
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Pubblicato: 19/02/22

1. L'aborto nella filosofia antica

   In Politica, Aristotele accetta ampiamente la possibilità dell'aborto, sia da un punto di vista eugenetico che come mezzo per il controllo delle nascite. Aristotele consiglia tuttavia dei limiti temporali entro cui l'aborto può essere procurato, e cioè prima che nel feto abbiano inizio i "sensi e la vita". Per capire cosa si intenda, basti pensare che la filosofia aristotelica attribuisce tre stadi evolutivi (anime) al feto, i quali susseguono l'uno all'altro: anima vegetativa, anima sensitiva, anima intellettiva o razionale. Se possedere l'anima vegetativa è ciò che contraddistingue le creature viventi (come le piante) dagli oggetti, l'anima sensitiva è ciò che divide gli animali dalle piante, essendo che nei primi sono presenti, appunto, “i sensi e la vita”, tra cui la capacità di effettuare movimenti fisici. In Historia animalium, Aristotele  – pur serbando qualche dubbio sulla precisione temporale – sostiene che nel feto/embrione i primi movimenti siano riscontrabili dopo 40 giorni se è maschio, 90 giorni se è femmina. 

   Nel caso dei figli maschi il primo movimento avviene solitamente sul lato destro dell'utero e verso il quarantesimo giorno, ma se il bambino è una femmina allora il movimento avviene sul lato sinistro e verso il novantesimo giorno.

Aristotele
Historia animalium, 7, 3

   È in quel momento preciso, 40 o 90 giorni a seconda del sesso, che per Aristotele l'embrione/feto assume l'anima, l'animazione. Alcuni secoli più tardi, in De Anima, compiendo una traslitterazione dall'anima di concezione aristotelica a quella così come intesa dalla Chiesa romana, il filosofo cristiano Tertulliano attribuisce a Platone l'idea che l'anima entri nel bambino con il primo respiro effettuato una volta uscito dall'utero, e che quindi il feto sia da intendersi come oggetto inanimato durante tutta la fase prenatale. Il concetto che una persona possa ritenersi tale solo una volta uscita dall'utero, sarà comune a diverse scuole di pensiero e influenzerà fortemente le legislazioni contemporanee.

2. Nell'ebraismo

   Sebbene nell'ebraismo siano diverse le correnti di pensiero riguardo l'aborto, qui si discuterà di quella predominante, la quale – almeno in linea teorica – si presenta meno refrattaria all'interruzione volontaria della gravidanza.

   In Esodo 21:22–25 si afferma che se un uomo colpisce una donna incinta causandole inavvertitamente un aborto, l'aggressore non viene considerato colpevole della perdita del feto ma, solo qualora la donna dovesse morire, verrà ritenuto responsabile di omicidio. Si vedrà come i cristiani intendano in maniera diversa questi versetti.

   Sempre secondo l'ottica ebraica nell'antico testamento l'essere umano può essere considerato tale solo una volta nato, cioè solo una volta uscito dal corpo materno. Ci sono pensieri diversi riguardo al momento preciso in cui lo status di persona possa essere riconosciuto al feto, ma in linea generale si fa risalire tale riconoscimento al momento del parto.

   Nella Mishnah, uno dei testi fondamentali dell'ebraismo, e in particolare nel trattato Oholot 7:6, si dichiara – parafrasando – che se una donna ha difficoltà a partorire, le viene tagliato il bambino nel grembo, facendolo nascere arto per arto, perché la vita della donna viene prima di quella del bambino. Tuttavia, se la maggior parte del corpo del bambino è uscita, esso non lo si può toccare, perché non si può mettere da parte la vita di una persona per quella di un'altra (si consulti il testo in ebraico originale, con versione in inglese allegata, al seguente link https://www.sefaria.org/Mishnah_Oholot.7.6?lang=bi).

   Da questi concetti si deduce che nel pensiero ebraico una persona è tale solo quando il suo corpo è uscito per "la maggior parte" da quello della genitrice.

3. Nel cristianesimo

   Al contrario della religione ebraica, il cristianesimo non ha documenti originali da cui trarre particolari direttive a proposito dell'aborto. Nelle traduzioni cristiane del vecchio testamento la parola aborto compare meno volte rispetto ai testi sacri ebraici (basti pensare al caso del termine nephilim, dai cristiani tradotto come "giganti", mentre per diverse scuole di pensiero ebraico la traduzione corretta sarebbe "aborti"). Prendendo in esame l'intero nuovo testamento il termine "aborto" compare solo una volta, ed esattamente in 1 Corinzi 15:8–9, dove in maniera implicita si associa l'idea di aborto all'essere infimi.

  È necessario rivolgersi all'antico testamento per ritrovare uno dei pochi riferimenti espliciti all'aborto. Si parlerà di nuovo di Esodo 21:22–25, interpretato diversamente dai traduttori cristiani rispetto ai redattori ebrei. La traduzione cristiana di questi versetti fa propendere che chi provochi un aborto meriti lo stesso castigo di chi commette omicidio.

   Bisogna tuttavia guardare oltre la bibbia cattolica, per trovare riferimenti diretti alla pratica dell'interruzione volontaria della gravidanza. Nella Didachè o Dottrina dei dodici apostoli, serie di antiche regole cristiane andate perdute e rinvenute solo nel 1873, al capitolo II si sancisce che: "Non ucciderai, non commetterai adulterio, non corromperai fanciulli, non fornicherai, non ruberai, non praticherai la magia, non userai veleni, non farai morire il figlio per aborto né lo ucciderai appena nato; non desidererai le cose del tuo prossimo". Nel capitolo V della stessa dottrina, dove vengono elencate le categorie di persone che lastricano la "via della morte", al paragrafo 2, si legge "uccisori dei figli, che sopprimono con l’aborto una creatura di Dio". Sullo stesso piano vengono messi assassini, ipocriti e avvocati dei ricchi.

   La più antica condanna formale all'aborto da parte della Chiesa cristiana ha origine col Concilio di Elvira, tenutosi nel primo decennio del 300. Qui viene stipulato un documento contenente 81 canoni. Il canone 63 recita che "Se una donna, mentre il marito è assente, concepisce per adulterio e dopo quel delitto commette l'aborto, non le sarà data la comunione nemmeno all'approssimarsi della morte, poiché ha raddoppiato il suo delitto". Al canone 63 si legge invece che "La catecumena che ha concepito un bambino in adulterio e poi lo ha soffocato, sarà battezzata all'approssimarsi della morte". Sembra quasi che l'aborto venisse condannato non come gesto in sé, ma come tentativo di nascondere il rapporto extraconiugale. Col Concilio di Elvira viene anche stabilita l'astinenza sessuale per i ministri della chiesa (canone 33) e – giusto per avanzare l'ipotesi che ciò andava bene due millenni fa potrebbe non andare altrettanto nel XXI secolo – il divieto per le donne di intrattenersi con commedianti e attori (canone 67).

   Attorno al 1200, l'Europa medievale riscopre le opere di Aristotele, tradotte in latino dopo migliaia di anni dalla loro prima stesura. Particolare successo riscuote l'idea aristotelica sullo sviluppo fetale (anima vegetativa, sensitiva, intellettiva) che viene ripresa dal vescovo e filosofo tedesco Alberto Magno, il quale la incanalerà nel panorama culturale medievale filtrandola attraverso l'ottica cattolico-cristiana, riproponendo dunque la traslitterazione dall'anima di concezione aristotelica nell'anima come intesa dal culto della Chiesa romana. In De animolibus, Alberto Magno sosterrà infatti che l'anima si instaura nell'embrione al quarantesimo giorno se è maschio, al novantesimo se è femmina.

   Le idee di Alberto Magno forse non avrebbero avuto la stessa eco se non fossero state riprese dal suo allievo Tommaso D'Aquino, tra i più importanti filosofi del medioevo che, continuando gli studi del proprio maestro, imprimerà definitamente nella cultura occidentale il binomio anima/feto. In Summa Theologiae Tommaso D'Aquino scriverà:

   “Bisogna ammettere che nell’embrione preesiste già l’anima, da prima vegetativa, poi sensitiva e infine intellettiva. [..] Quindi bisogna affermare che l’anima intellettiva è creata da Dio al termine della generazione umana, con la scomparsa delle forme preesistenti, e che essa è insieme sensitiva e nutritiva”

   Si instaura in seno alla dottrina cattolica la distinzione tra feto inanimato e feto animato, questione che sarà riaperta a più riprese da diversi autori medievali. Scrive Martin de Azpilcueta nel 1553:

[...] che Aborto […] fatto o procurato nelle donne gravide è omicidio. Se l'anima del bambino maschio ha 40 giorni, e la femmina 80.

Martín de Azpilcueta
Manuale de'confessori et penitenti
sez. “Tavola de' casi”

   In Europa ha intanto preso piede la riforma protestante. In una lettera a un amico datata 1544, Martin Lutero menziona una donna che definisce "bugiarda spudorata", "prostituta" e "sgualdrina disperata" per aver avuto rapporti sessuali con degli uomini e per poi aver tentato di abortire facendo saltare una cameriera sulla sua pancia (Luther on Women, 2012, S. C. Karant-Nunn, M. E. Wiesner-Hanks). Anche i primi protestanti non vedevano di buon occhio l'interruzione della gravidanza, che nelle parole di Lutero appare più orrenda dacché utilizzata per celare la promiscuità sessuale.

   Con l'intento di mantenere l'egemonia cattolica su un'Europa religiosa ormai frammentata, la Chiesa reagisce con vigore: sono i decenni crudi dell'inquisizione romana e della Controriforma. Le autorità ecclesiastiche pongono un nuovo accento sull'eliminazione della sessualità illecita di vario genere. Gli aborti sono un problema particolare perché possono nascondere i rapporti sessuali peccaminosi, compresi quelli tra sacerdoti e donne affidate alla loro cura spirituale (il Manuale di Azpilcueta parla di aborto riportando a esempio un caso tra una donna e un chierico, a riprova di come certe dinamiche rappresentassero consuetudine nell'Europa del XVI secolo). Sul finire del Cinquecento, l'aborto, indipendentemente dal fatto che il feto fosse animato o meno, viene sempre più visto come un crimine atroce.

   Infatti, rompendo con il passato e annullando qualsiasi distinzione tra feto animato e feto inanimato, con la Bolla Effraenatam perditissimorum del 1588 papa Sisto V opterà per la scomunica per chi commette l'interruzione della gravidanza, arrivando a prospettare l'instaurazione della pena capitale per i trasgressori. Il papa successivo, Gregorio XIV, invaliderà la Bolla e ripristinerà la pena originaria, che prevedeva la scomunica per l'aborto procurato solo dopo l'animazione del feto (https://embryo.asu.edu/pages/effraenatam-1588-pope-sixtus-v)

   Gli ultimi decenni del 1500 assistono alla nascita del microscopio, strumento che rivoluzionerà il contesto scientifico apportando enormi influenze culturali. Nel XVII secolo, la microscopia apre dunque a una serie di scoperte, e quando nel 1677 l'olandese van Leeuwenhoek nota che nello sperma umano si muovono quegli che sono gli spermatozoi, i filosofi naturali danno il via alle ipotesi più bizzarre. La teoria del preformismo è sicuramente tra quelle più in linea con la visione cattolica sul concepimento. Esaminando lo sperma attraverso grezzi microscopi, i primi studiosi poterono immaginare minuscoli esseri umani rannicchiati nella testa dello spermatozoo. Ai loro occhi si palesò dunque la spiegazione dello sviluppo umano: il corpo umano risiedeva come entità preformata all'interno della testa di ogni spermatozoo. Una volta raggiunto l'utero della donna, a quella creatura in miniatura non spettava altro che aumentare di dimensione. Se quindi l'essere umano era a immagine e somiglianza di Dio fin dal concepimento, allora si poteva ritenere che fin dal concepimento quello stesso essere umano fosse dotato di un'anima.


Uno spermatozoo contenente un essere umano in miniatura
Nicolas Hartsoeker, Essay de dioptrique (1694), p. 230

   Nel 1869 Papa Pio IX decretò – nella Apostolicae Sedis – che il feto ha un'anima fin dal concepimento. Dal 1900, le dichiarazioni papali saranno alquanto uniformi. Da Pio XI, che nel 1930 considerava l'aborto un gravissimo delitto, si arriverà al 1988 (10 anni dopo dalla legge 194/78 che legalizzava l'aborto in Italia) quando nel Catechismo cattolico verrà espresso nero su bianco il concetto che “La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l'azione creatrice di Dio [...]” (parte 3, sez. 2, art.5, 1), e portando quindi la Chiesa romana a equiparare l'embrione alla persona. Infine il 1995 vedrà la Evangelium vitae di Giovanni Paolo II, dove l'aborto sarà definitivamente condannato, in quanto "Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito".


Fonti non citate:

A. P. Wagener, Popular Associations of Right and Left in Roman Literature, 1912

W. Neaves, The status of the human embryo in various religions, 2017

J. Christopoulos, Abortion and the Confessional in Counter-Reformation Italy, 2012
https://www.jstor.org/stable/10.1086/667257

B. Honings, Animazione ritardata e incarnazione immediata. La spiegazione metafisica di San Tommaso, 1974


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