CONTATTO MASTODON

La criminalizzazione del soccorso in mare (SAR) come politica europea

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Chiamata a gestire i flussi migratori, l'UE ha adottato una politica di criminalizzazione dell'attività SAR.
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Pubblicato: 24/01/21

SAR guardia costiera

Indice generale:
Premessa
1. Teoria del salvataggio come pull factor
1.1. Da Mare Nostrum a Triton
1.2. Le ONG come pull factor
2. La politica dei porti chiusi
2.1. Caso Italia: Da Aquarius a Sea-Watch
3. La regolamentazione e la pratica de facto. Caso Internazionale: Alan Kurdi
4. Nuovo patto sulla migrazione: l'umanesimo dei tecnocrati
5. Conclusioni

Indice delle tabelle:
Tabella 1: Mare Nostrum e Triton 
Tabella 2: Provvedimenti contro le ONG 

Indice illustrazioni e grafici:
Illustrazione 1: Migranti morti e dispersi nel 2020
Illustrazione 2: Migranti morti e dispersi nel Mediterraneo nel 2020
Illustrazione 3: Mediterraneo centrale diviso per zone SAR
Illustrazione 4: Trend partenze 2014 - 2015
Illustrazione 5: Richiedenti asilo
Illustrazione 6: Morti accertate nel Mediterraneo centrale
Illustrazione 7: Salvataggi nel Mediterraneo centrale per organizzazioni 2013-2019

 

Premessa

Da anni a questa parte l'Unione Europea e i suoi Stati membri (SM) hanno adottato una politica volta a criminalizzare la ricerca e il soccorso in mare (SAR), nella fattispecie quello rivolto verso le imbarcazioni irregolari che, partendo perlopiù dalla Libia, attraversano il Mediterraneo centrale alla volta dell'Europa. La criminalizzazione è stata giustificata tramite una controversa interpretazione del salvataggio come pull factor mentre, sul piano effettivo, è stata resa possibile mediante l'impiego della pratica di non intervento. Il passaggio dalla tradizione umanitaristica a quella del non intervento, rappresenta la chiave di volta del processo di centralizzazione europeo in materia di controllo delle frontiere dell'UE, ampio settore che ricade nelle competenze dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) e verso la quale gli SM vanno progressivamente a delegare le politiche in materia di migrazione, dalle operazioni di sorveglianza delle frontiere al rimpatrio dei migranti irregolari.

   Quando difronte al disimpegno umanitario statale le ONG hanno tentato di colmare il vuoto mediante operazioni di iniziativa privata volte al soccorso e alla salvaguardia della vita in mare, gli SM hanno praticato metodi ostruzionisti a tali attività, sfruttando la c.d. politica dei porti chiusi, impedendo cioè di far sbarcare nei propri porti i naufraghi soccorsi, o comunque allungando oltremisura le tempistiche della attività SAR a discapito della sicurezza dei naufraghi e degli equipaggi a bordo delle navi soccorritrici. Tali procedure hanno trovato in Europa un forte consenso istituzionale, e sono state recentemente strutturate nel Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo, una serie di documenti e linee guida presentati dalla Commissione europea il 23 settembre 2020.

Migranti mappa mondo
Illustrazione 1: Migranti morti e dispersi nel 2020

   Le politiche intraprese dall'Unione Europea per mezzo di Frontex, e dai singoli SM, hanno di fatto reso la rotta del Mediterraneo verso l'Europa la più letale al mondo (ill. 1). Andando a vedere nello specifico i dati inerenti il Mediterraneo nel 2020, risulta che la maggior parte delle morti si sono registrate nella fascia centrale (ill. 2), ampia area che rientra nelle responsabilità SAR di Italia, Malta1, Tunisia e Libia (quest'ultima ha dichiarato – discutibilmente – la propria zona SAR nel 2018) (ill. 3).

Migranti mediterraneo morti
Illustrazione 2: Migranti morti e dispersi nel Mediterraneo nel 2020

   Nei seguenti paragrafi si vedrà cosa si intende per pull factor, analizzando la progressiva centralizzazione a livello europeo delle tematiche legate alla migrazione irregolare, e facendo sempre riferimento ai casi noti in cui si sono palesati motivi di controversie tra gli SM, e tra questi e le ONG. L'attenzione sarà pure posta sul divario che intercorre tra la legislazione internazionale odierna in materia del salvataggio dei naufraghi e la pratica de facto adottata dall'UE, il tutto con l'intento di dimostrare come la criminalizzazione dell'attività SAR sia oramai una vera e propria strategia, qui ribattezzata “politica del let-drown”, adottata a livello federale.

Zone SAR mediterraneo
Illustrazione 3: Mediterraneo centrale diviso per zone SAR

1. Teoria del salvataggio come pull factor

Innanzitutto vale la pena distinguere tra push factor e pull factor. Mentre il push factor o fattore di spinta identifica la condizione che induce il migrante a lasciare il proprio paese (conflitti, povertà, calamità naturali, ecc), il pull factor o fattore di attrazione è il motivo per cui il migrante sceglie di recarsi in un determinato paese –  considerato potenziale territorio in cui vigono preferibili condizioni sociali, economiche e politiche – rispetto a un qualsiasi altro e, appunto, al proprio paese di origine.

   In Europa si è fatta largo, a livello istituzionale, l'ipotesi secondo cui l'attività di salvataggio in mare fungerebbe da pull factor, andando di fatto ad aumentare il numero di migranti irregolari decisi a lasciare il proprio paese alla volta dell'UE. In sintesi, la consapevolezza di essere salvati alle autorità di un altro paese, incrementerebbe il senso di sicurezza dei migranti invogliandoli a compiere il viaggio, anche a rischio di imbarcarsi su di un mezzo di fortuna.

1.1. Da Mare Nostrum a Triton

   Momento simbolo del passaggio dall'intervento umanitario alla politica del let-drown è la cancellazione dell'operazione Mare Nostrum (MN). L'operazione, avviata per esclusiva iniziativa italiana, venne istituita nell'ottobre 2013 a seguito del naufragio di Lampedusa in cui persero la vita circa 366 migranti. Lo scopo di MN era quello di salvaguardare la vita nel Mediterraneo; un carattere prettamente umanitario, quindi, che incontrò lo scetticismo a livello nazionale ed europeo.

   Il 25 giugno 2014 durante un vertice a Barcellona tra i ministri dell'Interno di Italia (Angelino Alfano), Germania (Thomas de Maizière), Francia (Bernard Cazeneuve), e Spagna (Jorge Fernández Diaz), a cui partecipavano come ospiti la commissaria UE per gli Affari Interni (Cecilia Malmström) e il direttore ad interim di Frontex (Gil Arias-Fernández), si discusse in materia di lotta all'immigrazione irregolare in Europa. L'Italia sottolineò che l'operazione MN non poteva rimanere operativa a tempo indeterminato a causa dei costi elevati, e chiese che venisse sostituita da un'equivalente europea. Tuttavia i rappresentanti degli altri Paesi espressero preoccupazioni sul carattere umanitario di MN, il quale veniva inteso come un fattore di attrazione per i migranti2. In realtà l'aumento delle partenze dalle coste nordafricane registrato nel 2014 era dovuto all'escalation del conflitto libico3, e sarebbe difatti continuato nell'anno successivo, quando MN non sarebbe più stata all'attivo (ill. 4). 

Trend partenze 2014 - 2015
Illustrazione 4: Trend partenze 2014 - 2015. Elaborazione dati: leTrattative.it

   Più verosimilmente, il contrasto con la politica italiana nasceva in seno ai rapporti italo-tedeschi e poco e niente aveva a che fare con l'ipotesi del “salvataggio come pull factor”. Il ministro de Maizière accusava l'Italia di non registrare tutte le domande d'asilo dei migranti, i quali successivamente le rivolgevano alla Germania. Quest'ultima proponeva quindi di sostituire MN con una nuova operazione che fosse appoggiata dall'UE. In cambio di ciò, l'Italia avrebbe preso in carico tutte le domande di asilo. Ad accordo concluso, il ministro degli Interni Alfano fece passare l'annullamento di MN come una vittoria politica del suo mandato, affermando che “Oggi ci sentiamo di dire che l'Europa fa la propria parte”4. La strategia tedesca non avrebbe comunque registrato considerevoli cambiamenti nel trend delle domande d'asilo (ill. 5).

Richiedenti asilo italia germania
Illustrazione 5: Richiedenti asilo

   Il 27 agosto 2014, Cecilia Malmström annunciò il lancio dell'operazione Frontex Plus, la quale avrebbe progressivamente sostituito MN assumendo in ultimo il nome di Triton. La nuova operazione, finanziata da 15 SM, presentava una forte discontinuità con MN: dal salvataggio in mare come principio cardine, si passava al rafforzamento delle frontiere, tentando di sbarrare la strada a quanti più migranti possibile. Si trattava di un decisivo cambio di rotta nella politica europea sull'immigrazione che trovava il consenso di diversi governi nazionali.

   Oltre a ciò, il passaggio da MN a Triton segnava un punto di partenza nel processo di centralizzazione della politica UE anti-immigrazione. Se fino a quel momento erano stati gli SM a occuparsene, adesso la responsabilità di coordinazione delle operazioni di controllo e di rimpatrio sarebbe passata gradualmente a Frontex. Tra l'altro era stata proprio di Frontex una delle prime voci a suggerire il binomio SAR\pull factor. Nell'Annual activity report 2013, infatti, Frontex scriveva che la presenza di Mare Nostrum fungeva da pull factor per i migranti che partivano dalla Libia.

   Attenendosi a quella che si sarebbe rivelata come la nuova politica europea in materia di migrazione, il 9 settembre 2014 il ministro dell'Interno tedesco, Thomas de Maizière, in un discorso al Bundestag, affermò che MN “è stato un piano di emergenza ma si è rivelato un ponte verso l'Europa”, permettendo alle mafie di guadagnare “migliaia di milioni di euro”. Il 15 ottobre del 2014 la ministra degli Esteri del Regno Unito, Joyce Anelay, dichiarò al Parlamento inglese che MN rappresentava un pull factor che incoraggiava i migranti a tentare la traversata in mare. 

Frontex plus triton Mare Nostrum
Tabella 1: Mare Nostrum e Triton

    Quando nel 2015 alla direzione di Frontex subentrò Fabrice Leggeri, la politica del let-drown trovò un nuovo impulso, incanalandosi nel percorso già indicato dall'UE. In una intervista rilasciata al quotidiano francese Le Figaro, Leggeri mette in chiaro lo scopo di Frontex affermando che “I paesi dell'UE hanno affidato a Frontex una missione di controllo. Il soccorso in mare è un'altra cosa: ricade nelle competenze degli Stati”5. In data 11 febbraio 2015 la portavoce dell'agenzia Frontex, Izabella Cooper, dichiara che Triton non è mai stata progettata per sostituire Mare Nostrum. Sempre secondo Fabrice Leggeri infatti, le operazioni di ricerca e salvataggio “non fanno parte del mandato di Frontex e, a mio avviso, non rientrano neppure nel mandato dell'Unione Europea”6

Morti Mediterraneo centrale
Illustrazione 6: Morti accertate nel Mediterraneo centrale. Elaborazione dati: leTrattative.it

    Basata su tali presupposti, l'operazione Triton avrebbe così portato, per quanto riguarda il primo trimestre (ill. 6), a un forte incremento delle morti in mare che, da 10 registrate nel 2014, passavano a 456 nel 2015. Solo dopo l'aprile dello stesso anno, a seguito del naufragio nel Canale di Sicilia, dove persero la vita oltre 1000 persone, l'UE decise di ridare impulso alle attività SAR, portando le navi coinvolte nell'operazione Triton a intervenire non più entro le 30 miglia dalle coste italiane – come inizialmente pattuito – ma spingendosi fino a 138 miglia dalle stesse.

1.2. Le ONG come pull factor

   Messa da parte l'operazione MN e accettata la teoria del SAR come pull factor, l'UE lascia un vuoto nell'attività umanitaria che sarà colmato in parte dalle organizzazioni non governative (ill. 7). Questa tendenza attirerà fin da subito l'attenzione dei vertici politici e amministrativi europei.

Salvataggi Mediterraneo centrale ONG
Illustrazione 7: Salvataggi nel Mediterraneo centrale per organizzazioni 2013-2019

   Nel 2016 il Financial Times entra in possesso di alcuni rapporti Frontex riservati. All'interno di essi l'Agenzia si concentrava su una presunta cooperazione tra ONG e trafficanti libici di esseri umani, i quali – secondo i funzionari Frontex – impartivano ai migranti “clear indications before departure on the precise direction to be followed in order to reach the NGOs' boats”7. Con la formulazione di tale ipotesi veniva avviato quello che si sarebbe rivelato essere un vero e proprio processo di criminalizzazione delle ONG che – da quel momento in poi – sarebbero state bersaglio di strumentalizzazione da parte di cariche politiche e di una stampa internazionale diffidente, quando non esplicitamente avversa.

   Le controversie con le ONG non erano comunque una novità (basti pensare al caso Cap Anamur del 2004, che salvando 37 naufraghi venne accusata di favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina), ma si immettevano adesso in una evoluzione teorica che intendeva dimostrare come la loro presenza in mare favorisse l'afflusso di migranti dall'Africa verso l'Europa.

   A parlarne in questo senso è per la prima volta Fabrice Leggeri al quotidiano tedesco Die Welt nel 20178. Leggeri afferma che le operazioni SAR effettuate dalle ONG “inducono i trafficanti a una pianificazione e agiscono da pull factor, aggravando le difficoltà legate al controllo delle frontiere e al salvataggio in mare”. Il rapporto Frontex Risk Analysis 2017 specifica che la presenza delle navi delle ONG hanno costretto i trafficanti a cambiare tattica, rendendo più difficile la sorveglianza delle frontiere marine da parte delle autorità competenti.

   Frontex darà così il via libera all'acredine nei confronti delle ONG, legittimando sospetti, ingiurie e strumentalizzazioni politiche. Le navi soccorritrici saranno definite “Taxi del Mediterraneo” da Luigi Di Maio (21 aprile 2017, post su Facebook), mentre il senatore PD Stefano Esposito dirà che “Ci sono alcune ONG che hanno una posizione ideologica per cui il tema è esclusivamente salvare vite umane. Noi non ce lo possiamo permettere” (3 agosto 2017, Agorà); parole che verranno accolte da Matteo Renzi, il quale le interpreterà affermando “Se qualcuno – credo che questo fosse il senso delle parole di Esposito – tra le ONG […] ha contatti e frequentazioni con gli scafisti/schiavisti – come potrebbe essere, sulla base di alcune valutazioni delle procure – bisogna usare il pugno di ferro [...]” (4 agosto 2017, Radio anch'io). È questo il terreno su cui la criminalizzazione delle ONG diviene politica cardine del Palazzo del Viminale. 

2. La politica dei porti chiusi

Il 28 agosto 2017 i vertici politici di Italia, Francia, Germania, Spagna, Ciad e Niger, insieme al primo ministro del Governo di Accordo Nazionale libico, al-Serraj, si riuniscono a Parigi. Qui l'Italia propone di far sbarcare i migranti del Mediterraneo centrale non più solo entro il proprio territorio ma anche in altri Paesi UE. Contrarie a tale ipotesi sono Francia e Spagna, che non intendono aprire i porti ai naufraghi soccorsi; analoga la posizione assunta dall'Austria che minaccia di schierare l'esercito al confine italiano qualora l'Italia non fosse riuscita a ridimensionare il flusso di migranti. Intanto dalla Lega Nord, il presidente del Veneto Luca Zaia avanza la proposta di chiudere i porti in Italia. Una linea politica, questa, che diventerà cavallo di battaglia del Carroccio.

   Il 2 luglio dello stesso anno si incontrano a Parigi i ministri Minniti (Italia), Collomb (Francia), de Maizière (Germania), che propendono per un intervento atto a regolamentare le azioni delle ONG. Pochi giorni dopo, nell'incontro informale tenutosi a Tallin il 6 luglio tra i ministri della Giustizia e degli Affari Interni dell'UE, viene accolta la proposta italiana di far sottostare a un codice di condotta le ONG impiegate in attività SAR.

2.1. Caso Italia: Da Aquarius a Sea-Watch 3

   Con il beneplacito della Commissione europea, nel luglio 2017 il ministro dell'Interno Marco Minniti stila un codice di condotta per le ONG che operano in mare. L'interdizione ai porti alle ONG che non hanno sottoscritto il codice non è in esso esplicitamente espresso, ma sarebbe reso possibile allorché il testo precisa che “la mancata sottoscrizione […] o l'inosservanza degli impegni […] può comportare l'adozione di misure da parte delle Autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della vigente legislazione internazionale e nazionale”

   Perseguendo la strada intrapresa da Minniti, il 27 novembre 2018 la Camera approva il ddl 840/2018, conosciuto come primo decreto sicurezza, voluto fortemente dal ministro dell'Interno Matteo Salvini del governo Conte I. Parte del decreto dispone in materia di immigrazione, quindi cancella il permesso di soggiorno per motivi umanitari e aumenta il Fondo rimpatri.

   In data 11 giugno 2019 viene approvato il decreto n. 53, altrimenti decreto sicurezza bis, che inasprisce le multe contro le ONG colpevoli di violare i divieti di ingresso nelle acque territoriali italiane e conferisce al ministro dell'Interno la facoltà di “limitare o vietare l'ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di navigli militari o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica”. Si instaura la c.d. politica dei porti chiusi, che genererà casi di rilevanza internazionale.

   In particolare si tratta dei fatti legati alla nave Aquarius gestita da SOS Mediterranèe e da Medici senza frontiere, che dopo aver subito il divieto italiano ad attraccare nei porti della penisola è costretta, il 10 giugno 2018, a sbarcare a Valencia le 629 persone che aveva a bordo; un mese più tardi sarà la volta della Ubaldo Diciotti CP 941 della Guardia Costiera italiana, che riuscirà a far sbarcare i 190 naufraghi soccorsi il 16 agosto 2018, solo dieci giorni più tardi.

   Il 26 giugno 2019 il governo italiano vieta l'ingresso nel porto di Lampedusa alla nave Sea Watch 3, capitanata da Carola Rackete che trasporta 42 migranti. Il 29 giugno, a 16 giorni dal soccorso (avvenuto il 12 giugno) e dopo 3 giorni di stallo con le autorità italiane, Sea Watch 3 approda a Lampedusa senza previa autorizzazione. Rackete viene arrestata con l'accusa di violenza e resistenza nei confronti di una nave da guerra, nonché per resistenza a pubblico ufficiale. Tuttavia il GIP di Agrigento non convalida l'arresto e il 20 febbraio 2020 con sentenza n. 6626 la Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dal Pubblico Ministero.

3. La regolamentazione e la pratica de facto. Caso Internazionale: Alan Kurdi

Tra il 19 e il 20 settembre 2020 la nave Alan Kurdi gestita dalla ONG tedesca Sea Eye prende a bordo 133 persone in tre diverse operazioni di avvistamento a largo della Libia, nella c.d. zona SAR libica che il paese nordafricano detiene dal 2018. Il 20 settembre, dopo il secco rifiuto da parte di Malta di concedere il porto sicuro, la Alan Kurdi giunge a 12 miglia nautiche da Lampedusa dove richiede all'Italia l'autorizzazione per attraccare in porto. Alle 16:11 la Guardia costiera italiana contatta tramite mail l'equipaggio in cui afferma in cui afferma che la nave, battente bandiera tedesca, debba contattare il Centro di coordinamento marittimo di competenza, ovvero quello di Brema, in Germania, poiché i salvataggi sono avvenuti al di fuori della zona SAR italiana. Medesima prassi era stata seguita nell'aprile 2019, sempre durante un soccorso della Alan Kurdi, quando ancora una volta le autorità italiane rimandarono le responsabilità allo Stato di bandiera della nave. Questo atteggiamento negazionista, tuttavia, non trova ravviso nel diritto internazionale che, anzi, sembra far propendere per una interpretazione volta a far prevalere la componente urgenziale nelle operazioni di salvataggio. La normativa sembrerebbe infatti orientata a far sì che i comandanti delle navi che prestano soccorso trovino sempre l'assistenza degli Stati costieri, le cui autorità “Quando sono informate che una persona è o sembra essere in pericolo in mare […] prendono con urgenza misure per accertarsi che l'assistenza richiesta è fornita” (cap. 2 para. 2.1.1. Annesso Conv. SAR). Le linee guida adottate dal Maritime Safety Committee (MSC)9 – sebbene dal carattere non vincolante – estendono tale disposizione a tutti gli Stati coinvolti, anche riguardo incidenti accaduti al di fuori della zona SAR di competenza (para. 6.5 MSC Ris. 167(78)). Nel caso in cui lo Stato competente si rifiuti di intervenire, o non risponda o non abbia le capacità per farlo, diventa responsabile del soccorso il primo Stato informato della necessità di assistenza (para. 6.7 MSC Ris. 167(78))10. D'altronde, quando nel 2018 la nave Aquarius, battente bandiera inglese, veniva lasciata in stallo da una disputa tra governi inglese e italiano sulla responsabilità delle operazioni di salvataggio, la portavoce della Commissione europea Natasha Bertaud, definì il contenzioso “deplorevole” affermando che la priorità fosse “prestare aiuto ai migranti” e che questi venissero fatti sbarcare “in piena sicurezza e al più presto”, chiamando dunque in causa – seppure indirettamente – quei principi di urgenza, cooperazione e solidarietà di cui sono intrise le convenzioni SAR e SOLAS e in particolar modo le linee guida dell'MSC.

   È interessante notare come tali principi vengano recepiti in maniera deliberata e intermittente. Tornando al caso in esame, il 22 settembre 2020 le autorità italiane decidono di far sbarcare a Lampedusa 8 profughi necessitanti cure mediche, lasciando a bordo della Alan Kurdi i restanti 125 naufraghi. La nave della ONG non riceve ulteriori indicazioni, quasi che il carattere di urgenza del salvataggio si possa limitare a taluni casi (gli 8 profughi fatti sbarcare, verso cui l'obbligo di salvaguardarne la vita è stato ritenuto più impellente).

   Poiché l'operazione di salvataggio è considerata conclusa solo con l'avvenuto trasporto delle persone in pericolo in un luogo sicuro (para. 1.3.2. cap. 1 Annesso Conv. Sar), si può ritenere che il carattere d'urgenza sia sempre esteso a tutti i naufraghi soccorsi da una nave11, la quale è infatti considerata luogo sicuro solo in via prettamente provvisoria (para. 6.13 MSC Ris. 167(78)) e verso il cui comandante vi è l'obbligo da parte delle autorità statali di sollevarlo dalla responsabilità della gestione a bordo delle persone soccorse12, sia impartendogli una minima ulteriore deviazione rispetto alla rotta prevista (emendamento 3.1.9. della Conv. SAR; emendamento 4.1.1. della Conv. SOLAS), sia assegnandogli quanto prima un porto sicuro dove effettuare lo sbarco13. Va precisato che al contrario di quanto detto, la scelta di adempiere agli obblighi internazionali, a seconda della vulnerabilità dei soggetti da soccorrere percepita dalle autorità, trova in Italia, e in altri paesi, oramai una ampia tradizione pratica:

  1. Costretta in mare dal 26 giugno 2020 con 180 naufraghi a bordo, il 3 luglio la Ocean Viking dichiarava lo stato di emergenza dopo che 6 tra le persone soccorse avevano tentato il suicidio in un arco di tempo di 12 ore. Il permesso di attraccare al porto di Empedocle (Agrigento) sarebbe arrivato soltanto la notte tra il 6 e il 7 luglio.
  2. Nell'aprile 2019 l'Italia manifestava alla Alan Kurdi, a largo di Lampedusa, la disponibilità di far sbarcare due donne e due bambini; la nave della ONG veniva dunque lasciata senza istruzioni e costretta a effettuare lo sbarco a Malta.
  3. Nell'agosto 2018 la nave Ubaldo Diciotti CP 941 salvava 190 profughi a largo di Lampedusa. Le autorità italiane permisero lo sbarco di 13 per cause di emergenza medica. Il 20 agosto la Diciotti era ancorata al porto di Catania con 177 profughi a bordo. L'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini, in una diretta Facebook, affermò che “Se ci sono dei bambini possono scendere adesso, degli altri con il mio permesso non sbarca nessuno”. I minori, 29 in totale, furono fatti sbarcare senza accompagnatori il 22 agosto. Alle persone restanti fu permesso di toccare terra solo 3 giorni dopo.
  4. Nel dicembre 2018, la nave Open Arms, battente bandiera spagnola, traeva in salvo 311 migranti. Malta permise lo sbarco di una donna e un bambino ma impedì alla nave l'attracco in porto e l'approvvigionamento. Con anche l'Italia rifiutatasi di accogliere la nave della ONG, fu la Spagna ad assegnare il porto sicuro di Algeciras per lo sbarco.

   Dai fatti citati si palesa una fin troppo arbitraria gerarchia delle urgenze che viene decisa caso per caso senza trovare applicazione universale.

   Per quanto invece riguarda i fatti di settembre 2020 inerenti la Alan Kurdi, fatti sbarcare a Lampedusa gli 8 naufraghi necessitanti cure mediche, la nave della ONG non ottiene ulteriori indicazioni. In serata l'equipaggio della nave informa le autorità di Francia, Italia, Malta e Germania di doversi recare verso il porto di scalo a Marsiglia, per effettuare cambio di equipaggio. Viene inoltre rinnovata la richiesta di assegnazione di un porto sicuro dove far sbarcare i restanti 125 naufraghi, sebbene senza utile riscontro. La mattina del 23 settembre, la Alan Kurdi fa pertanto rotta verso la Francia mentre il governo francese rilascia una dichiarazione all'AFP affermando che ad ogni modo sia ancora “responsabilità dell'Italia ospitare la nave come porto di scalo sicuro più vicino”. Anche il Ministero dell'Interno tedesco chiede all'Italia di rispondere favorevolmente alla richiesta avanzata dalla ONG di attraccare nel porto sicuro più vicino.

   Mentre la Alan Kurdi procede in direzione di Marsiglia, le previsioni avverse delle condizioni meteo-marine spingono l'equipaggio a richiedere allo Stato italiano di poterle concedere un riparo. In una nota del 24 settembre, il Ministero dell'Interno fa sapere che alla nave della ONG viene concesso l'ormeggio nella rada di Arbatax, e che “Contestualmente […], è stata avviata la procedura europea di ricollocamento dei 133 migranti soccorsi in mare di cui 125 ancora presenti a bordo. L'80% dei migranti soccorsi verrà trasferito in altri Paesi europei”.

   A seguito della nuova disposizione, nel pomeriggio il Viminale assegna alla Alan Kurdi il porto industriale di Olbia come porto sicuro. La Alan Kurdi giunge in loco alle 10.30 del 25 settembre. Lo sbarco però viene bloccato dai contrasti tra regione Sardegna e Stato: si valuta la necessità di effettuare tamponi per la diagnosi di infezione da COVID-19, e se questi debbano essere eseguiti prima o dopo lo sbarco. Si decide di effettuare i tamponi a terra, prevedendo il rientro a bordo in attesa dei risultati14.

4. Nuovo patto sulla migrazione: l'umanesimo dei tecnocrati

Il 23 settembre 2020 la Commissione europea ha presentato il Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo con il quale punta a proporre un approccio europeo al tema della migrazione. Il Nuovo patto si compone di 11 documenti. Il decimo documento (C(2020)6468)15 è dedicato alla cooperazione tra SM che si trovano a operare alla presenza di navi soccorritrici appartenenti a privati. La Commissione affronta questo argomento proponendo delle considerazioni, stilate in 18 punti, a cui fa seguire 3 raccomandazioni, vero cuore del testo.

   Il contenuto del documento è stato criticato dalle ONG, e 70 tra queste hanno firmato una lettera aperta indirizzata a Ursula Von Der Leyen, in cui affermano: “Invece di dare indicazioni circa i comportamenti e le normative dei governi che ostacolano i salvataggi in mare e consentire il lavoro dei difensori dei diritti umani, si suggerisce di monitorare gli standard di sicurezza sulle navi e i livelli di comunicazione con i soggetti privati”.

   Infatti, seppure nel testo della Commissione si tenga a precisare che “è necessario evitare di criminalizzare coloro che danno assistenza umanitaria alle persone in pericolo in mare”, grande attenzione è posta da parte dei suoi redattori sull'obbligo del rispetto degli standard di sicurezza tecnici delle navi soccorritrici, e quindi sul monitoraggio di tali standard da parte delle autorità statali. Alla considerazione (12) per esempio, riguardo alle navi soccorritrici gestite da privati si afferma che “È pertanto nell'interesse dell'ordine pubblico, compreso la sicurezza, che tali navi siano adeguatamente registrate ed equipaggiate”, mentre al punto (15) si stabilisce che, alla luce delle pratiche SAR affermatesi nel Mediterraneo, vi è la necessità di definire un quadro più “strutturale”, “sostenibile”, che “dovrebbe essere destinato anche a fornire informazioni adeguate sulle operazioni e sulla struttura amministrativa” dei soggetti privati che praticano SAR.

   Considerando i precedenti episodi registratisi nel corso degli ultimi anni, con le navi delle ONG sottoposte a lunghi fermi amministrativi talvolta preceduti da sequestri (tab. 2), la scelta dell'UE appare volta a incoraggiare la prassi delle autorità statali.

Tabella 2: Provvedimenti contro le ONG

   Va infatti ricordato che, nel contesto delle ONG che salvano vite umane in mare, il sequestro del mezzo o la contestazione di multe sono strumenti a cui le autorità italiane hanno fatto ricorso con estrema facilità. Questa tendenza si è registrata a partire dal 2018 (esistono tuttavia casi precedenti) e, ovviamente, ha dato luogo a circostanze discutibili. A titolo d'esempio se ne riportano due:

  1. Il 20 novembre 2018 la procura di Catania dispone il sequestro della nave Aquarius per presunto traffico e smaltimento illecito di rifiuti. Il 15 gennaio 2019 la medesima procura fa sapere che il sequestro non era mai stato eseguito. Sarebbero stati in realtà trattenuti 200mila euro di beni della ONG, dissequestrati il 15 gennaio 2019 appunto, a seguito del riesame da parte del tribunale di Catania che reputò infondate le accuse di traffico illecito.
  2. Il 5 maggio 2020 la Guardia costiera italiana pone sotto fermo amministrativo la Alan Kurdi a causa di riscontrate irregolarità di natura tecnica. Il fermo viene contestato dal ministro dei Trasporti della Germania – stato di bandiera della nave – il quale dichiara in una nota che sono stati consegnati alla nave “i certificati necessari dato che aveva tutti i requisiti per il funzionamento” e che “le irregolarità riscontrate dalle autorità italiane non presuppongono gravi problemi di sicurezza”.

   Le raccomandazioni della Commissione europea si porrebbero in continuum anche per quanto riguarda la teoria del binomio SAR/pull factor. Si fa riferimento a tale teoria all'interno del testo stesso, quando al punto (9) si afferma che “è essenziale evitare situazioni in cui le reti responsabili del traffico di migranti o della tratta di esseri umani, comprese le organizzazioni criminali dedite alla tratta o a forme di sfruttamento analoghe alla schiavitù, approfittino delle operazioni di soccorso svolte da imbarcazioni private nel Mediterraneo”. Per la Commissione dunque il fattore di attrazione sarebbe esercitato non tanto sui migranti, che sapendo di poter essere salvati tenderebbero a partire in maggior numero, ma sui trafficanti di esseri umani che, in una qualche maniera non specificata dalla Commissione, sfrutterebbero la presenza delle navi soccorritrici per concludere i propri affari illeciti.

   Va aggiunto che all'interno del documento si palesa un accostamento tra il tema dei soccorritori e quello dei trafficanti, che alla luce delle passate e infondate accuse di trafficare esseri umani – rivolte alle ONG da Frontex e dalla stampa europea – appare quantomeno preoccupante. Tale accostamento si manifesta al punto (5), quando si afferma che “è necessario evitare di criminalizzare coloro che danno assistenza umanitaria alle persone in pericolo in mare, garantendo nel contempo che siano in vigore sanzioni penali adeguate contro i trafficanti”, e nella scelta di far seguire al punto (8) in cui si considerano le ONG, il punto (9), che comincia affermando: “Il traffico di migranti è un reato”.

   Alle 18 considerazioni seguitano 3 raccomandazioni, le quali sono in toto dedicate alla sorveglianza dei soggetti privati che praticano SAR. Il concetto al punto (1) nel quale si afferma che “Gli Stati membri di bandiera e quelli costieri dovrebbero scambiarsi regolarmente e tempestivamente informazioni sulle navi che partecipano segnatamente alle operazioni di soccorso e sui soggetti che le gestiscono o ne sono proprietari” viene esacerbato al punto (2) quando si precisa che “gli Stati membri dovrebbero cooperare tra loro e con la Commissione […] compresi […] i soggetti privati che possiedono o gestiscono navi ai fini dello svolgimento di attività di ricerca e soccorso, al fine di individuare le migliori prassi […] necessarie per garantire: a) una maggiore sicurezza di navigazione e b) la disponibilità per le autorità competenti di tutte le informazioni di cui hanno bisogno per controllare e verificare il rispetto delle norme di sicurezza in mare e delle norme pertinenti sulla gestione della migrazione”. La terza raccomandazione, invece, si limita a incoraggiare gli SM “a fornire alla Commissione tutte le informazioni pertinenti sull'attuazione della presente raccomandazione, almeno una volta all'anno, entro il 31 marzo dell'anno successivo all'anno di riferimento”.

   In conclusione si può affermare che il testo redatto dalla Commissione europea, benché parli di “evitare di criminalizzare”, si presenti come una sorta di manuale – a indirizzo delle autorità statali competenti – volto a spiegare punto per punto come sorvegliare le navi soccorritrici secondo un nuovo metodo standardizzato europeo che, perlopiù, adotta i procedimenti utilizzati da qualche anno in Italia.

5. Conclusioni

Difronte al processo che vede migliaia di persone attraversare il Mediterraneo centrale e in mancanza di una politica comune europea, l'UE ha tentato di far fronte alla propria impreparazione in materia della gestione dei flussi, prediligendo quella che è stata qui chiamata politica del let-drown.

   Precisamente, questo tipo di indirizzo è stato assunto poiché – citando l'ex Presidente della Commissione europeo Jean-Claude Juncker – “I continui sbarchi di persone soccorse negli Stati membri costieri hanno conseguenze dirette sui sistemi di gestione della migrazione di questi ultimi  ed esercitano pressione crescente e immediata sui loro sistemi di migrazione e asilo”. A tal fine le attività di soccorso in mare sono state sostituite con la tendenza a “rafforzare i controlli alle frontiere così da ridurre il numero di persone che intraprendono viaggi pericolosi verso l'Europa”16.

   Se la politica focalizzata a ridurre il volume dei flussi migratori è quella di incrementare i controlli, l'attività SAR è stata ritenuta un fattore di attrazione in grado di aumentare il volume numerico di migranti e trafficanti di esseri umani. In questo senso l'Europa ha scelto di intraprendere la strada del let-drown, venendo pertanto meno agli obblighi internazionali (quattro Convenzioni internazionali fanno esplicito riferimento al soccorso marittimo17). Al fine di mitigare il numero di migranti irregolari, la nuova strategia comunitaria utilizza la minaccia della morte come deterrente alla volontà del migrante di partire e, qualora la volontà persista, si serve della morte come frenante della spinta migratoria. Oggi sono numerosi i casi che vedono Guardia costiera nazionale e Frontex adottare la politica di non intervento difronte alla richiesta di salvataggio avanzata da imbarcazioni irregolari alla deriva.

   Se tale intendimento dei pull factor ha portato inizialmente a ridurre gli interventi SAR delle autorità nazionali (v. supra 1.1. Da Mare Nostrum a Triton), una volta che a queste si sono sostituite le ONG, si è passati a ridurre la loro capacità d'intervento tramite metodi ostruzionisti (v. supra 2. La politica dei porti chiusi) e la loro criminalizzazione, dichiarando che esse siano in combutta con i trafficanti libici di esseri umani.

   Benché sia vivo il dibattito sulla liceità delle accuse rivolte alle ONG, l'UE non sembra disposta a effettuare un dietrofront. Il 23 settembre 2020 la Commissione europea ha infatti pubblicato una serie di documenti che assumono il titolo di Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo (v. supra 4. Nuovo patto sulla migrazione: l'umanesimo dei tecnocrati). Tra questi, il documento che si prefissa di stabilire quali canoni di coordinazione dovrebbero instaurarsi tra gli SM e i soggetti privati che praticano attività SAR, in realtà si limita a indicare il tipo di sorveglianza che dovrebbe essere effettuata sulla iniziativa privata e quali siano gli standard a cui questa dovrebbe sottostare.

   Parrebbe che, ispirandosi alla prassi italiana di sottoporre le navi delle ONG a fermi amministrativi e sequestri, l'UE si sia prefissata di creare un approccio europeo in materia di gestione delle attività SAR volto a filtrare quegli obblighi di soccorso ampiamente regolamentati dal diritto internazionale.

   La criticità sta nel fatto che salvare vite umane in mare, dal suo essere inteso quale obbligo internazionalmente riconosciuto e sempre applicato, diviene ora un diritto il cui monopolio spetta alle autorità statali che se ne servono in via del tutto discrezionale, oltretutto non ammettendo di cedere alcuna delega nel momento in cui decidono di non utilizzare tale diritto. Non si spiegherebbero altrimenti i frequenti rifiuti di assegnare il porto sicuro a quelle imbarcazioni private che hanno raccolto dei naufraghi in mare. Mai come in questi casi, infatti, si manifesta energicamente quell'aspettativa intrinseca delle autorità di non far portare a termine la missione di salvataggio.

   Il ruolo che l'UE ha deciso di rivestire è quello di guardiano di questo monopolio e, mentre asseconda le politiche di chiusura dei governi nazionali, si ritrova a regolamentare e quindi a far propria la politica del let-drown che gli SM, come in una spirale, sono chiamati a seguire.

NOTE:

[1] Malta non ha accettato gli emendamenti delle convenzioni SAR e SOLAS del 2004, i quali stabiliscono che lo Stato responsabile della zona SAR in cui si è effettuato il salvataggio dei naufraghi sia tenuto a fornire, in tempi rapidi, la disponibilità di un porto sicuro.
[2] UK Parliament, G6 (Barcelona) Volume 584: debated on Monday 7 July 2014, 7 luglio 2014.
https://hansard.parliament.uk/commons/2014-07-07/debates/2b1cdefa-bf09-426a-81e0-8e1896c077dd/WrittenStatements
[3] Per una cronologia del conflitto libico, il 18 settembre 2014 il Parlamento europeo “rammenta che i combattimenti avvenuti nei mesi di luglio e agosto 2014 per il controllo dell'aeroporto di Tripoli hanno comportato una drammatica escalation delle violenze e sprofondato il paese nel caos”, Ris. n. 2844/2014. Ancora il 15 gennaio 2015, il Parlamento europeo “condanna fermamente la rapida escalation della violenza in Libia [...]”, Ris. n. 3018/2014.
[4] Guido Ruotolo, “Addio a Mare Nostrum, c'è la missione Triton. L'annuncio di Alfano: il controllo sarà europeo”, La Stampa, 9 ottobre 2014.
[5] Jean-Jacques Mével, Fabrice Leggeri (Frontex): «Cela dépasse désormais les questions migratoires», Le Figaro, 20 aprile 2015.
[6] Patrick Kingsley - Ian Traynor, EU borders chief says saving migrants' lives 'shouldn't be priority' for patrols, The Guardian, 22 aprile 2015.
[7] Duncan Robinson, EU border force flags concerns over charities' interaction with migrant smugglers, 15 dicembre 2016, Financial Times.
[8] Manuel Bewarder - Lisa Walter, “Rettungseinsätze vor Libyen müssen auf den Prüfstand”, 27 febbraio 2017, Die Welt.
[9] Il Maritime Safety Committee è uno dei comitati facenti capo all'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO). Il compito dell'MSC consiste nell'intervenire su tematiche riconducibili alla sicurezza marittima, per esempio aggiornando la Convenzione SOLAS e i codici correlati.
[10] A riprova di questi principi, il preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM) contiene un riferimento alle “necessità di tutta l'umanità” e ai “principi di giustizia e di uguaglianza dei diritti” lasciando dunque margine per una interpretazione estensiva dell'obbligo di prestare soccorso in mare senza limitazioni geografiche. Se così non fosse, infatti, ne risulterebbe un trattamento discriminatorio nei confronti di quanti dovessero versare in situazione di pericolo in acque internazionali, i quali rimarrebbero esclusi dagli standard di protezione offerti dalla CNUDM. Su tale interpretazione pare infatti disporre il para. 1 dell'art. 98 del CNUDM quando stabilisce che il diritto di venire soccorsi debba essere riconosciuto a “chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”.
[11] È altresì utile ricordare come la Convenzione per migliorare la sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate di mare (1949), ponga sullo stesso piano – seppure in contesto bellico e militare – feriti, malati e naufraghi senza alcuna distinzione.
[12] Nella sentenza pronunciata dal tribunale di Agrigento il 7 ottobre 2009 (N. 954/09) relativa al caso Cap Anamur, il collegio giudicante ha ritenuto di specificare che la responsabilità del comandante non riguarda unicamente la somministrazione del vitto e dell'assistenza medica ma, soprattutto, va rapportata alla necessità di garantire ai naufraghi “il diritto universalmente riconosciuto di essere condotti sulla terraferma”.
[13] Nell'ordinanza pronunciata dal GIP di Agrigento il 2 luglio 2019 (N. 2592/19) relativa al caso Carola Rackete, si afferma che l'adempimento del dovere di soccorso “non si esaurisce nella mera presa a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione fino al più volte citato porto sicuro”.
[14] Su questo punto – tenendo da conto l'eccezionalità del caso data dalla pandemia da COVID-19 – è comunque doveroso il richiamo alla Risoluzione MSC, in cui si dichiara che “Ogni operazione e procedura, come l'identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco” (para. 6.20 Risoluzione MSC 167(78)).
[15] “Raccomandazione della Commissione sulla cooperazione tra gli Stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso”, 23 settembre 2020.
[16] Commissione europea, "Rotta del Mediterraneo centrale: la Commissione propone un piano d'azione per sostenere l'Italia, ridurre la pressione e aumentare la solidarietà", 4 luglio 2017.
[17] Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (SOLAS), 1974; Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR), Amburgo, 1979; Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), Montego Bay, 1982; Convenzione internazionale sull'assistenza e soccorso in mare (Salvage), Londra, 1989.


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  • La criminalizzazione del soccorso in mare (SAR) come politica europea

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