CONTATTO MASTODON

Moby Prince - Un mistero durato 30 anni

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Il 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince collide contro la petroliera Agip Abruzzo. Non sono ancora chiarite le dinamiche dell'incidente.

Aggiornato:

Pubblicato: 09/10/19



Sono le 22.25 del 10 aprile 1991 quando il traghetto Moby Prince che ha da poco lasciato Livorno collide contro la petroliera Agip Abruzzo, ancorata a circa due miglia di distanza dal porto. Il traghetto ne sfonda il serbatoio numero 7 contenente circa 2700 tonnellate di petrolio. Immediato il mayday lanciato dall’ufficiale radio del Moby Prince. Il canale è il 16, quello per le emergenze, e il segnale è debolissimo, troppo per essere sentito da qualcuno: “Mayday Mayday Mayday, Moby Prince Moby Prince Moby Prince, Mayday Mayday Mayday, Moby Prince! Siamo in collisione, siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Mayday Mayday Mayday, Moby Prince, siamo in collisione, ci serve aiuto!”.

   Le forze di soccorso che vennero lanciate dalla terraferma si dimostrarono inadeguate e impreparate a fronteggiare il disastro. Convogliate unicamente sulla petroliera, lasciarono al proprio destino il Moby Prince e le persone a bordo. Sul traghetto, inghiottite dalle fiamme, ne morirono in 140. Si salverà soltanto una, un giovane mozzo di nome Alessio Bertrand.

   Per spiegare l'incidente, fin da subito si sarebbe parlato di nebbia. Nebbia ed errore umano. Errore umano riconducibile al comandante del traghetto, Ugo Chessa, e al resto dell'equipaggio concentrato a seguire la partita di calcio in TV.

   A giustificare l'incapacità dei soccorritori, invece, la menzogna che voleva tutte le 140 vittime morte in meno di mezz'ora, rendendo inutile, pletorico, ogni tentativo di soccorso.

   È assodata però la professionalità del comandante Chessa, così come oggi è assodato che le 140 persone a bordo del Moby Prince morirono in un arco di tempo che va ben oltre i 30 minuti. Lo dice la  perizia medico-legale di Aristide Norelli e Elena Mazzeo. Lo dice il terrificante filmato da un elicottero che riprende il corpo di Antonio Rodi, integro ancora alla mattina – perché da poco arrivato sul ponte con le proprie gambe –, e un paio d'ore dopo ritrovato carbonizzato, combusto dal calore delle lamiere.

moby prince Antonio Rodi

   Così, alla tragedia del 10 aprile 1991, seguirono anni di confusione investigativa e processuale. Verità spacciate come incontestabili cominciarono a scricchiolare sotto la mole delle indagini portate avanti dai familiari delle vittime e da una Commissione di inchiesta parlamentare. Se era una verità incontestabile la nebbia come causa dell'incidente, oggi è invece "da  escludersi [...] ricondurre le cause della tragedia alla presenza di nebbia"1. Se nel 1998 veniva sentenziata quale verità incontestabile la non sussistenza dell'omissione di soccorso, oggi è invece assodato che "i  tragici  effetti  sulla  vita di almeno una parte delle persone a bordo sono stati determinati dalla sostanziale abdicazione delle autorità responsabili rispetto a una efficace funzione di soccorso pubblico in mare"2.

   Un percorso di ricerca della verità osteggiato da dubbie modalità accertative, come quella che vede il perito, l'ingegner Pribaz, nominato dal tribunale civile con l'incarico di verificare il contenuto delle cisterne dell'Agip Abruzzo. Al fine di svolgere i suoi doveri, Pribaz aveva chiesto il permesso di salire a bordo della petroliera, ma se lo vide inspiegabilmente negato. La perizia potè avere luogo solo una volta che l'intero carico venne trasferito su un'altra petroliera, l'Agip Piemonte3

Il carico dell'Agip Abruzzo


   Il 10 aprile 1991, ufficialmente, la petroliera Agip Abruzzo trasporta 82mila tonnellate di Iranian Light, caricate il 5 aprile 1991 dal porto di Sidi Kerir, Egitto. L'informazione giunge dai documenti rilasciati dall'armatore della petroliera, la Snam. Tuttavia, nel 2014 torna alla luce un fax risalente al 1993, trasmesso da Southpampton e contenente i documenti in copia del porto di Sidi Kerir, attestanti l’ultimo carico effettuato dall’Agip Abruzzo nello scalo. Si parla di 14 marzo 1991, e non 5 aprile. Si parla, cioè, di un mese prima dalla data dichiarata dai documenti di autocertificazione.

   Anche nei documenti della Lloyd's di Londra, corporazione che fin dagli inizi del Novecento effettua il monitoraggio continuo delle rotte di tutte le navi commerciali al mondo, è indicato il 14 marzo come data dell'ultimo scalo dell'Agip Abruzzo nel porto di Sidi Kerir. Non c'è invece traccia del presunto viaggio effettuato il 5 aprile.

   C'è poi il cadavere di Francesco Esposito, barista del Moby Prince, che viene recuperato dal mare. La causa della morte è “asfissia da annegamento”. Quello che è davvero strano è che Esposito è annegato, ma non nell'acqua. Nei polmoni del barista viene infatti ritrovata nafta. Nafta che non compare nei documenti rilasciati dalla Snam, ma la cui presenza è rivelata pure dalle registrazioni radio della notte della collisione, quando il comandante dell'Agip Abruzzo, Superina, urlava in radio:

   Superina - Se venite fuori in tempo forse ci salviamo perché c’è la nafta incendiata in mare, non so quanto può durare.
[...]
   Vigili del fuoco - Ma la nafta chi è che la sta buttando fuori? Voi o l'altra nave?
   Superina - Noi, noi, noi!

Nebbia


   Sulla presenza o meno della nebbia nel porto di Livorno si è dibattuto a lungo. La Commissione Parlamentare, auditi diversi testimoni e analizzato il video D'Alesio, ha determinato che la nebbia non era presente. Tuttavia è interessante confrontarsi con alcune testimonianze. 

   I guardiamarina Paolo Thermes e Roger Olivieri parlano di un blackout che avrebbe colpito la Agip Abruzzo, più la presenza di strani bagliori in prossimità della petroliera. Il tutto sarebbe avvenuto attorno alle 22.14, cioè prima del tragico evento.

   Maurizio Teodori, altro testimone oculare, dichiara di aver visto una foschia in zona poppa della Agip Abruzzo, un alone giallo-arancio e, ancora, il blackout.

   Antonio De Luca, oltre ad affermare di aver sentito un forte odore di nafta, conferma il blackout e la presenza di fumo.

   Analizzato il caso, nel 2009 gli ammiragli Giuliano Rosati e Giuseppe Borsa teorizzano un guasto sulla Agip Abruzzo, per la precisione al sistema di generazione di corrente elettrica tramite turboalternatori a vapore. Tale guasto sarebbe stato in grado di produrre 74mila metri cubi di vapore ogni 10 minuti. Una quantità tale di vapore che bastava ad avvolgere completamente la petroliera.

   L'ipotesi acquisisce valore se si tengono da conto alcuni particolari. Il 24 novembre 2016 l'audito direttore di macchina dell'Agip Abruzzo, Marco Pompilio, ammette che nella giornata del 10 aprile 1991, a bordo della petroliera “si era fatto un programma di lavori in coperta per la sostituzione di alcune tubolature di vapore”. 

   Inoltre, alcuni giorni dopo la tragedia, la Snam fece salire sull'Agip Abruzzo i tecnici di una ditta olandese. Questa aveva realizzato il sistema di generazione della corrente elettrica con turbine a vapore della petroliera.

Assicurazioni, patti chiari, amicizia lunga 


   A 2 mesi e 8 giorno dalla tragedia, il 18 giugno 1991 viene siglato a Genova un accordo armatoriale tra – da una parte – Navarma, Unione Mediterranea di Sicurtà, The Standard Steamship Owners Protection and Indemnity Association Ltd (Bermuda); e – dall'altra parte – Snam Spa, Agip Spa, Padana Assicurazioni Spa, Assuranceforeningen Skuld. 

   L’accordo sancisce che:

   - Navarma e The Standard Steamship Owners Protection And Indemnity Association Ltd si impegnano a risarcire passeggeri e membri dell’equipaggio senza invocare limitazione del debito e senza chiedere indennizzo a Snam, Agip e assicuratori;

   - Navarma e Unione Mediterranea di Sicurtà costituiranno insieme il fondo di
limitazione per il Moby Prince;

   - Snam e Skuld si impegnano a risarcire i costi di decontaminazione e i danni ambientali legati all’evento;

   - Viene inoltre stabilito che nessuna delle parti coinvolte può far causa all'altra, rinunciando di fatto a qualsiasi pretesa, oltre al fatto che tutte le parti si obbligano a stare insieme in giudizio qualora le famiglie delle vittime citino anche solo una delle società o uno dei dipendenti.

   Oltre alla istituzione della distinzione tra "noi" (armatori e assicuratori) e "loro" (i parenti delle vittime) è significativa pure la circostanza che vede 7 diverse società arrivare a stipulare un accordo in poco più di due mesi dal fatto interessato, soprattutto se si tiene da conto che le verità processuali erano ancora ben lungi dal costituirsi.

   Sarà davvero come disse Vincenzo Onorato auscultato dalla commissione d'inchiesta, e cioè che difronte a 140 morti nessuno voleva mettersi a bisticciare su chi dovesse pagare chi e cosa, e che pertanto gli accordi si raggiunsero con quanta più rapidità possibile. Ma volessimo non prendere per oro colato le parole di Onorato, finiremmo per ritenere i tempi sospetti, e sicuramente, finiremmo per pensare che un accordo assicurativo di quella portata poteva avere pesanti ripercussioni sulla ricerca processuale della verità.

   In questo senso, basti pensare che prima di firmare il famigerato accordo, la società Navarma nominò come propri consulenti tecnici lo Studio Ansaldo di Genova. Questi produssero una  relazione nella quale si individuava con certezza la posizione della petroliera all’interno della zona interdetta all’ancoraggio, un punto su cui si sarebbe dibattuto a lungo in aula, senza mai arrivare a un responso decisivo. Navarma non ammise mai in sede processuale di essere a conoscenza della posizione tenuta dall'Agip Abruzzo al momento della collisione. È chiaro che una volta messa la propria verità assicurativa in tasca, a nessuna delle parti poteva più interessare alcuna verità processuale.

   Altra zona d'ombra riguarda la tipologia di assicurazione che gravava sul Moby Prince, che fin dall'ottobre 1990 era stato assicurato con un'estensione della polizza ai "rischi guerra", a detta della Commissione di inchiesta parlamentare, non giustificata nel tratto dell'alto Tirreno e nelle rotte tenute dalle navi della Navarma.

   Più anomalo appare il fatto che il Moby Prince venne assicurato per 20 miliardi di lire, quando il suo valore era di 7 miliardi di lire, e che l'assicurazione abbia liquidato quei 20 miliardi senza fiatare, e già nel febbraio 1992,  mentre erano ancora in corso le indagini preliminari. "Si ritiene che il fatto – lo scrive la Commissione nero su bianco – può essere stato favorito dall’accordo armatoriale del giugno 1991 ENI-SNAM-AGIP/Padana Assicurazioni/Assuranceforeningen  Skuld".

Sabotaggio del relitto


   La sera del 10 aprile 1991 Ciro Di Lauro non è a bordo del Moby Prince. Il nostromo ha preso una breve licenza e si trova sull'isola d'Elba. Entra però a far parte della vicenda a pochi giorni dalla tragedia, quando si rende artefice di un tentativo di sabotaggio del relitto. Agli inquirenti dichiara di aver avuto l'ordine di manomettere la timoneria del Moby Prince da un ispettore della Navarma, Pasquale D'Orsi. Lo scopo sarebbe stato quello di far credere agli investigatori che la timoneria del traghetto fosse impostata sul pilota automatico al momento della collisione.

   Il tentativo non va in porto. Ciro Di Lauro si autoaccusa e contro lui e D'Orsi si fa un processo. Il processo è conosciuto come "Moby Prince 2" ed è un procedimento minore, del tutto parallelo a quello che si sta tenendo sulla tragedia del 10 aprile. Come se si pensasse che il tentativo di manomissione c'entrasse poco e niente con quella notte. Come se facesse caso a parte, appunto.

   Entrambi gli imputati vengono assolti il 15 novembre 1997 poiché il reato è ritenuto impossibile. Vale a dire che la manomissione c'è stata ma che non avendo mai tratto in inganno i periti, non è punibile.

   Non è un'assoluzione assurda, bislacca, come potrebbe sembrare. Il caso è considerato dal codice penale italiano, in particolare al secondo comma dell'art.49. Ciò che invece è assurdo è che non si sia mai investigato sui motivi del sabotaggio, su chi avrebbe potuto beneficiare di quella manomissione e su chi fossero i mandanti.

L'avaria al timone e lo stato della flotta Nav.Ar.Ma


   Inizialmente la pista dell'avaria al timone del Moby Prince è stata tra le più ritenute valide. Sono intervenuti diversi periti a riguardo, ma i filoni di pensiero si dividono tra chi reputa che non ci sia stato alcun malfunzionamento sul Moby Prince, e chi invece dà l'avaria per certa.

   Salvatore Fabbricotti è, ai tempi della prima inchiesta, incaricato dal tribunale di Livorno di valutare le apparecchiature di navigazione della Moby Prince. Fabbricotti ha escluso una qualsiasi ipotesi di avaria al timone, sostenendo che l'agghiaccio timone fosse “come nuovo” e che la barra del timone era 35 gradi a destra. Fabbricotti precisa pure che se si “porta il timone tutto a destra e [si] lascia il timone, la barra del timone torna a zero”4. Vale a dire che dopo aver girato il timone per effettuare una virata bisogna tenerlo in quella posizione, altrimenti si riposiziona in automatico per una navigazione dritta. Automatismo possibile solo se non viene a mancare la corrente all'impianto.

“Quello che io penso – continua Fabbricotti – è che il timone sia stato portato dal timoniere tutto a destra, a 35 gradi, per evitare qualcosa che c’era davanti. Nel frattempo deve essere successo qualcosa che ha fatto mancare la corrente alle pompe e, allora sì, che il timone è rimasto là. Non c'è ombra di dubbio che il timone è stato portato sicuramente con il torchio del timone e poi è mancata la corrente o non so cosa è successo”5.

   Di parere diametralmente opposto a quello di Fabbricotti è Giovanni Mignogna, consulente tecnico della FILT CIGL costituitasi come parte civile nel processo di primo grado. In udienza, Mignogna afferma che "c’è da dire anche un’altra cosa a proposito del timone. Oltre alla posizione di cui vi ho detto, è stato trovato bruciato nell’agghiaccio il trasformatore del quadro di corrente. Il trasformatore si trovava nella paratia del locale accanto, in cui l’incendio è arrivato, per cui qualcuno ha sostenuto che sarebbe stato il calore a bruciarlo, ma non è così. Controllando attentamente, è venuto fuori, infatti, che si è bruciato per calore proprio, per cui deve esserci stato un corto circuito o qualcosa del genere. Può essersi trattato dello stesso tipo di avaria verificatosi su un’altra nave e di cui riferì in tribunale un signore del quale non ricordo il nome: pare, infatti, che anche in quell’occasione la nave girò su se stessa – verso sinistra in quel caso – e furono trovati bruciati i trasformatori".

   Il caso a cui si riferisce Mignogna è quello inerente il Moby Fantasy, e il signore di cui non ricorda il nome è il comandante di quel traghetto, Mario D'Ambrosio. D'Ambrosio riporta le sue osservazioni anche in un documento, redatto dopo la sentenza del processo 19986. Racconta di come a bordo del Moby Fantasy, mentre la rotta era impostata sui 29°, “all'improvviso avvertii improvvise vibrazioni dello scafo. Giunto sul ponte mi accorsi che la macchina di sinistra era sull'indietro tutta, mentre quella di destra era rimasta sull'avanti tutta. In pochi secondi la rotta da 29 era cambiata per sud a 180 gradi. La pompa idraulica del Kamewa di sinistra, si era fermata e le molle avevano spinto le pale variabili sull'indietro tutta”.

   D'Ambrosio però continua, descrivendo un'avaria riscontrata su un altro mezzo della Moby Lines. Scrive il comandante che “nell'entrare all'imboccatura del porto di Livorno, nell'avviare l'elica di prua o di manovra, il sovraccarico fermò i generatori della nave. Mi trovai, in piena accostata a sinistra, senza macchine e senza possibilità alcuna di manovra. Misi a fondo le due ancore. Fortuna volle che un'ancora facesse presa su un grosso cavo sottomarino. E così il traghetto con passeggeri a bordo, si fermò a pochi metri dagli scogli”.

   Quelli elencati da D'Ambrosio non sono però gli unici casi di malfunzionamento registrati a bordo dei traghetti facenti parte della flotta Navarma. Nell'estate del 1994 si ebbero problemi tecnici su diverse imbarcazioni, e in un caso si era dovuti cambiare rotta verso la Corsica7.

   Per quanto riguarda il Moby Prince, la tesi dell'avaria al timone venne abbandonata in maniera definitiva già durante il processo conclusosi nel 1998. Vale la pena ricordare che qualora fosse stata confermata, l'avaria sarebbe valsa da aggravante verso l’armatore, dato che lo stato del mezzo ricadeva sotto sua responsabilità.

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   Selezione de leTrattative delle registrazioni radio della notte del 10 aprile 1991.

   Registrazioni radio intere, della notte del 10 aprile 1991. Canale 16 e frequenza 2.182 kHz.
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1 pag. 40 
2 pag. 64 ibid.
3 pag. 9 ibid.
4 pag. 20
5 ibid.
6 https://www.yumpu.com/it/document/read/15242602/osservazioni-del-comandante-mario-dambrosio-sul-primo-processo- 
7 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/07/24/incendio-sul-traghetto-una-notte-di-terrore.html

 

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