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L'Europa esisterà per sempre, e fallirà ogni giorno

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Pubblicato: 18/10/19

mediterraneo migranti

Mentre sul confine tra Turchia e Siria si scatena l'inferno e si sospetta l'utilizzo di armi chimiche da parte di Erdoğan, i paesi dell'Unione Europea minacciano a forza di tweet nuove sanzioni. I nostri paladini son riusciti pure a far altro però, e lentamente vanno bloccando uno dopo l'altro gli export di armi verso la Turchia. Ben fatto, bisogna riconoscerglielo almeno una volta, a questi poverini. Qualcuno dirà che sembra una cosa magnifica, troppo forse, tanto che sicuramente, abituati come siamo ai peggiori colpi bassi, ci sarà il rovescio della medaglia. E infatti il rovescio c'è, perché l'embargo è applicato sì, ma su futuri contratti: quelli in essere, vanno invece a gonfie vele.

   E allora via, a spedire granate, mine antiuomo e anticarro, mitra di ultima generazione per rifocillare le fila militari del nostro lontano cugino eurorientale. E che Erdoğan, sultano del terzo millennio, continui a fare le sue nefandezze. Nefandezze perpetrate davanti a una UE allibita sì, scioccata pure, indignata come sempre – e mica è cosa da poco, come ci indigniamo noi non si indigna nessuno –, ma come sempre immobile, incapace di coordinamento e di risposte ben schioccate, inutile.

   È uno status di impotenza che abbiamo coltivato a lungo, con agguerrita caparbietà. Segnali unitari abbiamo evitato di darli durante il genocidio in Cambogia; abbiamo lasciato fare, nel '94, in Ruanda, inciampando negli sgambetti di Mitterrand, e alla fine abbiamo atteso che il sangue finisse di scolare da sé dalle terre della ex Yugoslavia. L'Unione è sempre stata un mostro lento, un ingranaggio sgrassato, un vecchio tronfio, fin dai suoi albori.

   Eppure talune volte siamo riusciti a sorprendere pure noi stessi, toccando vette inimmaginabili di passività. Un esempio lo si ritrova nel 2013, quando scoppiò il caso Datagate e venne fuori che gli amici americani spiavano i nostri capi di governo. Da buona Unione, siamo stati zitti. Alla fine, e quasi costretta, a sollevare la voce e a chiedere invano spiegazioni fu Angela Merkel. Poi il silenzio più totale, secondo bon ton.

   Signorilmente in politica estera abbiamo sempre abdicato al ruolo di leadership. Troppo stressante per noi. Mentre la Cina tira a sé l'Africa tutta e Zuckerberg vola in Nigeria a stringere amicizie, noi ci impalliniamo da soli su Brexit, possibili Italexit e altri cattivi giochi di parole. Ma forse è meglio così, perché non potremmo mai avere alcun interesse a stringere alleanze e accordi economici con un continente che vanta la percentuale di giovani più alta del mondo, che a Nairobi ospita ogni anno la convention internazionale sulle ICT, che ha nel Ruanda il governo con il più elevato tasso di partecipazione femminile. Potevamo fare di più che ignorare il resto del mondo, ovviamente. Il mondo lo potevamo proprio buttar fuori. Potevamo chiudere i porti. E lo abbiamo fatto.

   La questione dell'immigrazione, negli ultimi tempi, ci è sembrata poca cosa, quindi messo il problema da parte ci siamo dimenati tra Russia e Stati Uniti come inebetiti, quasi aspettassimo che fossero loro a dirci cosa fare. Prima con la crisi in Crimea, e poi con quella siriana, fino a farci trascinare in uno scontro economico tra Cina e States che non comprendiamo, ritrovandoci di colpo a giocare a guardie e ladri in una storia di hacker e email (il Russiagate - vedi il nostro video su YouTube).

   Innumerevoli volte l'Europa ha dimostrato di riuscire a essere se stessa fino in fondo, e con una naturalezza tale che non lascia spazio a dubbi: non può che continuare a esistere, perché ciò che ha fatto fino ad ora pare esserle giovato. E se solo riuscirà a mantenersi indecisa, inadatta praticamente a tutto così come ha sempre fatto, allora è ragionevole pensare che esisterà per sempre. L'incapacità come elisir di lunga vita, insomma. Qualcuno potrebbe avere da ridire su questo, certo. Ma giace sui campi di battaglia o nel profondo degli abissi.

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