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Il processo Andreotti 4/5 - Perché si arrivò a processare il Divo

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Il 27 marzo 1993 il procuratore della Repubblica emetteva domanda di autorizzazione a procedere nei confronti di Andreotti, per i reati di associazione per delinuere e associazione di tipo mafioso.

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Pubblicato: 18/11/18

Perché il processo Andreotti

   Per un motivo si arrivò a processare Andreotti. Perché le prove a disposizione erano diventate solide e numerose abbastanza da poter avanzare delle accuse.

Maxiprocesso, Lima, Andreotti : un'eterna ghirlanda brillante

Rubando una frase di Douglas Hofstadter riferita al suo saggio (Godel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante), possiamo dire che agli inizi degli anni '90 il Maxi processo, Salvo Lima e Andreotti "erano solo ombre proiettate in diverse direzioni da una qualche solida essenza centrale". Ai magistrati spettò il compito di ricostruire l'oggetto centrale, dando vita a quello che oggi chiamiamo Processo Andreotti.

   All'inizio si trattò solo del Maxi processo. 475 imputati, poi 474, portati in giudizio e accusati di far parte di una cosa di cui si dubitava l'esistenza: la mafia. Per la prima volta in Italia si processavano mafiosi perché mafiosi. Cosa nostra non prese troppo sul serio questa nuova tendenza italiana, pensando che le sentenze espresse in I grado, una volta arrivate in Cassazione, sarebbero state "aggiustate", ridimensionate, annullate.

  Poi venne l'omicidio di Salvo Lima, a Mondello, il 12 marzo1992, e si scoprì che era stato ammazzato da Cosa nostra. Perché? Perché l'eurodeputato Lima non era riuscito a rispettare i suoi obblighi, cioè quelli di far annullare le sentenze in Cassazione. Uccidendo Lima, Cosa nostra mandava un segnale al mondo politico, alla DC, alla corrente andreottiana o, più precisamente, a Giulio Andreotti, colpevole come Lima di aver voltato le spalle alla piovra.

I rapporti tra Andreotti e Cosa nostra

   Nella primavera del 1985 il pentito Tommaso Buscetta parlò di Andreotti a Richard Martin, pubblico ministero statunitense che all'epoca si occupava dell'operazione Pizza connection. Per spiegare quale livello politico Cosa nostra aveva raggiunto in Italia, Buscetta disse: Le dico solo un nome: Andreotti. Lo stesso Martin rivelerà il contenuto del colloquio ai colleghi di Pizza connection, Louis Freeh (direttore FBI dal 1993 al 2001), Robert Stewart e Robert Bucknam. In sostanza, già nel 1985, Washington sapeva che Buscetta indicava Andreotti quale referente politico di Cosa Nostra, quando già nel 1984 — in un dispaccio del Consolato a Palermo — gli stessi USA davano per possibili i rapporti tra il braccio destro in Sicilia di Andreotti, Salvo Lima, e la mafia siciliana. E l'Italia?

   Sulle relazioni tra Cosa Nostra e il mondo politico, riferimenti a un'entità grigia, collocata nell'area DC, in Italia erano già stati fatti. Nel 1984 Buscetta riferiva a Giovanni Falcone di non poter rivelare "fatti molto gravi" inerenti il mondo politico. Per smuovere le acque in questa direzione bisognerà aspettare che esponenti di Cosa nostra uccidano Salvo Lima. È infatti l'omicidio dell'europarlamentare DC che permetterà di far luce su una matassa di rapporti tra il mondo politico e la mafia fino a quel momento neppure immaginati. Nel 1992, proprio nell'ambito delle indagini sull'omicidio di Salvo Lima, il pentito Gaspare Mutolo dichiarava che Cosa nostra si rivolgeva a Lima per "tutte le esigenze che comportavano decisioni da adottare a Roma".

   Nello stesso anno, il pentito Leonardo Messina riferiva che Lima fungeva da tramite tra Andreotti e Cosa nostra. Buscetta si deciderà a parlare di Andreotti l'11 settembre 1992, solo dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio poiché queste — disse lui stesso — lo avevano "colpito profondamente". Ad ascoltare quelle dichiarazioni, come si è già scritto, c'era il pubblico ministero Richard Martin che parlerà di quel colloquio avvenuto nel 1985, prima al giornalista Marco Palocci nel 1994, poi durante il processo Andreotti, nella pubblica udienza del 9 luglio 1996. Che Buscetta aveva fatto quel nome a Richard Martin fu ulteriormente confermato da un agente della DEA, Anthony Petrucci, incaricato della sicurezza del pentito e anch'egli ascoltato in udienza.

La domanda di autorizzazione a procedere

   Il 27 marzo 1993 il procuratore della Repubblica Caselli trasmetteva al Presidente del Senato la domanda di autorizzazione a procedere contro il senatore Giulio Andreotti, per i reati di associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso. Nel documento si faceva sapere che "nell'ambito di distinti procedimenti" si era arrivati al nome di Andreotti, il quale aveva avuto "condotte tali da realizzare un contributo positivo alla tutela degli interessi ed al raggiungimento degli scopi dell'organizzazione", cioé di Cosa nostra.

   Venivano poi elencate le acquisizioni probatorie riguardanti i rapporti tra Andreotti e Cosa nostra. Queste erano le dichiarazioni rese da Leonardo Messina e Gaspare Mutolo, di cui si è già accennato ma che si vedrà ora nel dettaglio.

Le dichiarazioni di Leonardo Messina  

   Messina riferiva che "l'on. Lima era il contatto con l'on. Andreotti  [...] specialmente per gli interessamenti concernenti processi giudiziari a carico di esponenti dell'organizzazione" (pag. 50). Prima che la Cassazione si esprimesse sulle sentenze verso gli imputati del maxiprocesso, "vi erano precise garanzie che il processo in Cassazione si sarebbe risolto in una "cazzata", e che tali garanzie provenivano dall'on. Lima, dall'on. Andreotti e dal Presidente della Cassazione CARNEVALE, con il quale era stato tutto "sistemato"" (pag. 51). Messina dichiarava inoltre che aveva saputo da Sebastiano Nardo, legato alla cosca di Lentini, che Andreotti era punciutu, vale a dire punto, termine che si riferisce a chi è stato iniziato a Cosa nostra (pag. 52).

Le dichiarazioni di Gaspare Mutolo

   Mutolo dichiarava che per le decisioni romane che coinvolgevano gli interessi di Cosa nostra, l'on. Lima si rivolgeva a "persone della sua stessa corrente politica". (pag 67) o meglio, a "una persona" (pag 68), per poi precisare tempo dopo che "Il sen. Andreotti è esattamente la persona alla quale l'on. Salvo Lima si rivolgeva costantemente per le decisioni da adottare a Roma, che coinvolgevano interessi di Cosa Nostra". (pag 72). Mutolo faceva pure sapere che il rapporto tra Andreotti e Cosa nostra era antecedente alla presa di potere dei corleonesi (pag 73-74) e che Salvo Lima era stato ammazzato a causa del Maxi processo, per procurare un danno politico ad Andreotti e per mandargli un avvertimento per i suoi comportamente futuri (pag77).

   Presentate le dichiarazioni dei pentiti, il documento procedeva con il sottolineare i riscontri ottenuti da altri collaboratori di giustizia. Riscontri, tra gli altri, sulla natura del rapporto instaurato tra Cosa nostra e il mondo politico romano fin dagli anni '60, sul ruolo di Lima e dei cugini Salvo quali intermediari tra Cosa nostra e la corrente andreottiana, e sul significato dell'omicidio di Salvo Lima. Questi riscontri venivano dalle testimonianze di Vincenzo Marsala, Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia, Giuseppe Marchese, Baldassare Di Maggio e infine Tommaso Buscetta.

L'isolamento di Carlo Alberto Dalla Chiesa

   Particolare attenzione venne data al delitto del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, a cui viene dedicato un intero capitolo, il IV, che si snoda su 56 pagine. Qui si ricorda che alla pagina del 6 aprile 1982 della sua agenda personale, Dalla Chiesa aveva annotato che il giorno precedente si era incontrato con Andreotti, su invito di quest'ultimo (pag. 209). Dalla Chiesa riportava quindi il contenuto di quell'incontro: l'aver riferito ad Andreotti che non avrebbe avuto alcun riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i grandi elettori DC in Sicilia; a cui seguiva la risposta di Andreotti, in cui faceva riferimenti a Sindona e al mafioso Inzerillo, "morto in America è giunto in una bara con un biglietto da 10 dollari in bocca" (pag. 210).

   Nell'udienza del 12 novembre 1986, resa nell'ambito del Maxi processo, Andreotti negò tutto. Negò di aver invitato Dalla Chiesa, e affermò che il generale gli fece visita di sua iniziativa, per cortesia (pag. 211). Negò che Dalla Chiesa avesse fatto riferimenti alla DC (pag. 213). Negò di aver fatto riferimenti a Sindona o a Inzerillo (da pag. 216 a 221). Si doveva quindi presupporre che Dalla Chiesa avesse mentito al suo diario? Il Procuratore della Repubblica, all'interno del documento, precisa subito:
   E' altresì da escludere che il generale abbia volutamente scritto il falso nel suo diario, sia perchè egli non ne aveva alcun motivo, sia perchè il diario era un documento assolutamente personale, redatto come si è accennato, nella forma di immaginari colloqui con la defunta prima moglie, e, come tale, non destinato ad essere letto da terzi o in alcun modo pubblicizzato.
- pag. 226
   Preso atto che Dalla Chiesa era pronto a indagare per far luce su quella parte del mondo politico che si relazionava a Cosa nostra, Andreotti e gli esponenti della sua corrente a Palermo si sarebbero pertanto mossi con lo scopo di contenere e ostacolare le possibilità di azione di Dalla Chiesa, promuovendone l'isolamento. Si trattava di una strategia andreottiana "da cui oggettivamente traeva vantaggio l'organizzazione criminale mafiosa [siciliana]" (pag. 230).

Le Conclusioni

   Infine si chiedeva dunque di procedere nei confronti del senatore Andreotti "per aver contribuito - non occasionalmente - alla tutela degli interessi ed al raggiungimento degli scopi dell'associazione per delinquere denominata Cosa Nostra" fino al 28 settembre 1982, e per aver contribuito - non occasionalmente - alla tutela degli interessi ed al raggiungimento degli scopi di Cosa Nostra intesa come organizzazione mafiosa, dal 29 settembre 1982 in poi (pag. 245-246).

   La distinzione tra Cosa nostra intesa come associazione per delinquere e Cosa nostra intesa come organizzazione mafiosa, è data dal fatto che solo dal 1982, con la legge Rognoni-La Torre, venne introdotto il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. In sintesi, prima del 1982 la mafia non esisteva né esistevano reati a essa collegati.

VERSO IL PROCESSO

   Il 27 marzo 1993, poco dopo che veniva emessa la domanda di autorizzazione a procedere, Andreotti divulgava la notizia, e lo faceva con una dichiarazione resa all'Ansa in cui parlava di una vendetta mafiosa nei sui confronti:
   Mi è stata comunicata dalla Procura di Palermo l' apertura di un'indagine nei miei confronti per attività mafiosa. La notizia mi amareggia profondamente, ma non mi sorprende, perché avevo letto sui giornali assurde dichiarazioni di pentiti e, inoltre, sono da tempo oggetto di calunniosi attacchi da parte dell'ex-sindaco Orlando. Accusare me di mafia è paradossale. Come governo e anche in prima persona ho adottato contro i mafiosi duri provvedimenti e proposto leggi severissime ed efficaci. Dovevo attendermi la loro vendetta e, in un certo senso, è meglio così che non con la lupara. Non temo alcuna indagine seria e affronto questo infame episodio con grande serenità riservandomi ogni azione di risarcimento.
   Il 13 maggio 1993 il Senato votava sull'autorizzazione a procedere nei confronti di Andreotti. Nel suo discorso a Palazzo Madama il senatore a vita, ancora, respingeva tutte le accuse, giurando "l'assoluta, integrale falsità della congettura accusatria nei miei confronti". Andreotti affermava inoltre che "Non conosco, non ho mai in vita mia conosciuto, nessuno dei personaggi del mondo del crimine ai quali il mio nome è stato malevolmente accostato", parlava di calunnie contro di lui, e terminava il discorso facendo appello al "Tribunale di Dio", pur confidando "nella giustizia terrena".

   Andreotti chiede a tutto il Senato di votare a favore dell'autorizzazione a procedere nei suoi confronti. I liberali votano contro, i socialdemocratici affermano che se voteranno a favore, sarà solo per rispetto della richiesta di Andreotti; simile discorso viene fatto dai socialisti; i repubblicani votano a favore, il PDS vota a favore, facendo una dichiarazione netta: "I magistrati sono stati cauti e prudenti, l'iniziativa giudiziaria è doverosa" e definisce l'invito dello stesso Andreotti di votare per il luogo a procedere "apprezzabile, anche se tardivo".

   Il presidente della Giunta, Giovanni Pellegrino, replica che votare a favore per l'autorizzazione a procedere è "l'unica decisione istituzionalmente corretta e l'unica politicamente opportuna". Dopo 4 ore di discussione, infine si vota, e lo si fa per alzata di mano. Vince il via libera con una maggioranza schiacciante. Nel settore democristiano, Andreotti, seduto in quarta fila, alza la mano anche lui. La giustizia può fare il suo corso.

   Il 2 marzo 1995 veniva disposto il rinvio a giudizio di Andreotti per il reato di partecipazione a Cosa nostra (reato che fino a quel momento era stata ipotizzato solo di concorso esterno), su richiesta formulata dai P.M Guido Lo Forte, Gioacchino Natoli e Roberto Scarpinato.

   Il 26 settembre 1995, nell'aula bunker dell'Ucciardone, poté finalmente aprirsi quello che subito venne ribattezzato Il Processo del Secolo.

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