CONTATTO MASTODON

Il processo Andreotti 3/5 - Il torbido passato di un democristiano

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Da Piazza Fontana ai rapporti con Michele Sindona. Le ombre nella carriera politica di Andreotti.

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Pubblicato: 14/11/18

Le ombre nella carriera di Andreotti

Già prima del processo la reputazione di Andreotti era tutt'altro che cristallina. In un articolo su IlFattoQuotidiano.it¹, Antonella Beccaria scrive:
    [...] furono 27 le richieste che la magistratura inviò per indagare sul 7 volte presidente del consiglio. Richieste negate e i cui atti, depositati presso commissione parlamentare per i procedimenti di accusa, rimangono ancora inarrivabili per chi volesse consultarli.
   In un altro articolo², questa volta a firma Peter Gomez, si legge:
   Tra il 1969 e l’84 [Andreotti, nda] ha visto il suo nome finire per 26 volte davanti alla commissione inquirente. Ma tutte le denunce sono state archiviate. 
   Quindi sarebbero 26 le richieste per autorizzazione a procedere effettuate tra il 1969 e il 1984³. 1969-1984. Gli anni delle stragi.

Piazza Fontana. Andreotti sapeva 

  Durante il processo a Catanzaro, sul ruolo dei servizi segreti nella strage vengono chiamati a testimoniare Mariano Rumor, Giuseppe Tanassi e Giulio Andreotti. Andreotti ai magistrati non dirà nulla, tutelandosi con il segreto di Stato. Solo quando a Milano si emetteranno dei mandati di cattura per il Sid, Andreotti si deciderà a parlare, ma non ai magistrati, bensì alla rivista Il Mondo, nel giugno 1974. Andreotti dichiarerà ciò che non aveva detto al processo, e cioè che Guido Giannettini, giornalista fortemente legato ai movimenti di estrema destra, lavorava per i servizi o, usando le stesse parole di Andreotti, "era un informatore regolarmente arruolato dal Sid".

   Un comportamento strano, quello di Andreotti, che tace davanti ai magistrati a proposito di questioni che rivelerà solo a un giornale. Il caso Giannettini non era cosa da poco. Il giornalista è legato alle indagini di piazza Fontana per aver rivestito il (presunto) ruolo di organizzatore della strage.

   Dell'intervista di Andreotti del 20 giugno 1974 alla rivista Il Mondo, ne parlò (più volte) anche l'on. Aldo Moro nel memoriale tenuto durante la prigionia:
[...] esplode d'improvviso e all'insaputa del Presidente del Consiglio [Rumor, nda] il caso Giannettini, la cui qualifica d'informatore del Sid Andreotti rivela nel modo improprio di un'intervista ad un giornale, anziché nelle forme ufficiali o parlamentari che sono proprie di siffatte indicazioni.
   Gianadelio Maletti, ex capo del controspionaggio del Sid, in un'intervista rilasciata nel 2009 a L'Espresso, inserisce la strage di piazza Fontana in un quadro internazionale di strategia della tensione, con gli Stati Uniti che ne detengono le redini, e dichiara:
   Io sono convinto di questo: della strategia americana, sia il capo dello Stato, il presidente Saragat, sia Andreotti sapevano. Non direi che avessero un coinvolgimento diretto. Andretti, probabilmente, ha lasciato un po' fatalisticamente che le cose prendessero il loro corso, non immaginando la strage: avrà pensato a una bomba che può rompere un po' i vetri. Fece così anche un anno dopo, con il golpe Borghese.

Omicidio Pecorelli. Il mandante è Andreotti?

   La sera del  20 marzo 1979, il giornalista e fondatore dell'OP (Osservatorio Politico) Mino Pecorelli viene assassinato a Roma. Pecorelli era un giornalista particolare, affiliato alla loggia massonica P2 e autore di articoli dallo stile sensazionalistico, alcuni dei quali (una bassa percentuale) dal fascino profetico. Per esempio il 19 novembre 1967 ne pubblica uno molto particolare sulla rivista Il Nuovo Mondo D'Oggi, di cui era l'editore.

   L'articolo è intitolato "Dovrei uccidere Aldo Moro", e rivela che nel 1964 "un funzionario di un non precisato ministero" (che qualcuno identifica in Randolfo Pacciardi) aveva incaricato il tenente colonnello Roberto Podestà di preparare un commando per uccidere la scorta di Moro, rapirlo e assassinarlo per poi dare la colpa a elementi di sinistra. Podestà si finge d'accordo, poi svela tutto a Pecorelli.

   Pecorelli, che nel frattempo aveva cominciato a scrivere articoli contro il suo Gran Maestro Licio Gelli, seguirà le vicende Aldo Moro fino a quando sarà compiuto il rapimento a opera delle Brigate Rosse. È il 1978. Nel numero di OP del 12 settembre 1978 Pecorelli avanza l'ipotesi che dietro le BR ci fosse molto altro. Poi svela pagine del memoriale Moro che sarebbero state ritrovate, in via ufficiale, solo nel 1990.
   Ci risulta che sul memoriale originale di Moro figurino frasi come queste: "Andreotti per 30 anni ha sempre e solo pensato al suo interesse personale e continua così..., è inoltre legato a gruppi di affaristi e mestatori".
   Pecorelli conosce l'ambiente di quegli anni, conosce i rapporti tra servizi segreti e mondo politico, ha fonti ovunque, il giornalista, e fa inchieste scomode, lette da poche migliaia di lettori, ma scomode, così scomode da portare Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti, a proporgli un assegno di 15 milioni di lire per non pubblicare un numero dove si svelavano i favoritismi del governo a Guido Giannettini e gli assegni milionari che Andreotti avrebbe girato all'imprenditore Angelo Rovelli. Il pezzo si chiamava Gli assegni del Presidente e sarebbe dovuto essere stampato il 6 febbraio del 1979, ma non vide mai la luce probabilmente perché Pecorelli accettò la mazzetta. Nello stesso periodo, a Pecorelli vengono versati altri 30 milioni, che in molti sospettano arrivare dalla tasca di Gaetano Caltagirone.

   Pecorelli però è troppo invischiato e conosce troppe cose. Ha scritto sul golpe Borghese, l'Italcasse, il fallimento Sindona, il dossier Mi.Fo.Biali, il caso Moro. Il 20 marzo 1979 viene ammazzato nei pressi della sede della rivista OP da lui diretta, a Roma; ritrovato riverso al posto di guida della sua Citroen, era stato raggiunto da quattro colpi di pistola.

   Molti anni dopo, il 6 aprile 1993, il pentito Tommaso Buscetta dichiara di aver saputo dal boss di Cosa nostra Gaetano Badalamenti che l'omicidio del giornalista sarebbe rientrato negli interessi di Andreotti. La magistratura apre un fascicolo. Andreotti viene prima assolto, poi condannato a 24 anni assieme a Badalamenti, infine assolto di nuovo.

   A oggi l'omicidio di Nino Pecorelli rimane commesso da ignoti.

I rapporti con Sindona e il delitto Ambrosoli

   Il 24 ottobre 1974 i giudici di Milano emettono un mandato d'arresto per Michele Sindona con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Negli stessi giorni vengono aperte inchieste sui presunti finanziamenti a partiti e uomini politici da parte di Sindona, ai rapporti delle banche sindoniane con il Banco di Roma, e alle relazioni tra il banchiere siciliano, Cosa nostra e la mafia italoamericana.

   L'impero di Sindona crolla e fa frastuono. I giornali non parlano d'altro. Giorgio Ambrosoli viene incaricato di liquidare la Banca Privata Italiana. Un compito difficile, che porta l'avvocato a scontrarsi continuamente contro un muro. Un muro eretto da chi? Da Sindona prima di tutto, aiutato da figure di spicco, posizionate in alto. Sulla sua agenda¹⁰ Ambrosoli aveva annotato il 20 ottobre 1974: "Andreotti vuol chiudere la questione Sindona ad ogni costo".

   Giorgio Ambrosoli viene ammazzato nel 1979, a luglio, l'11. Chi è stato? Per il momento non si sa. Intanto le voci sui rapporti tra Sindona e Andreotti corrono. Petruccioli, tesserato PCI, affermava che nei confronti di Sindona "mai Andreotti ha cercato di farsi considerare nemico, anzi spesso si è manifestato quale amico di Sindona che sempre più si dimostrava nemico degli interessi nazionali".

   Tuttavia sarà proprio il PCI a salvare il Divo. Il 4 ottobre 1984 in parlamento si apre il dibattito sulle responsabilità politiche di Andreotti nella questione Sindona. I presenti sono 454. Per le dimissioni di Andreotti al ministero degli Esteri votano in maggioranza radicali e missini. I comunisti si astengono. Gli Atti Parlamentari¹¹ riportano i risultati: 101 favorevoli, 199 contrari, 154 astenuti. Andreotti non deve lasciare la poltrona. In aula i radicali gridano: Buffoni!

   Poi arriva il 1985, e al processo Ambrosoli si scoprirà chi aveva ammazzato l'avvocato¹². A premere il grilleto era stato William Aricò, un mafioso italoamericano morto in uno strano tentativo di evasione nel 1984. Chi aveva invece ingaggiato il sicario era stato Michele Sindona, che viene condannato nel 1986. Non durerà a lungo la pena di Sindona perché, come si sa, quattro giorni dopo la sentenza bevve un caffé corretto al cianuro. Omicidio o suicidio? Probabilmente un malriuscito tentativo, operato da Sindona stesso, di far credere che qualcuno lo volesse morto. Per i giudici, il banchiere avrebbe sbagliato il quantitativo di cianuro, uccidendosi accidentalmente.

   Sempre nel 1984 vengono fuori particolari inediti¹³ sul caso Ambrosoli. A destare scalpore sono le trascrizioni delle registrazioni telefoniche (leggile qui), dove un non meglio identificato personaggio minaccia l'avvocato. Telefonate, che come si scoprirà in seguito, sono state fatte da Giacomino Vitale, detto Giacomo, massone e cognato del boss Bontate. Telefonate in cui si fa il nome di Andreotti.

Vitale - Si dice che lei non vuole collaborare ad aiutare quella persona, capisce? Il "grande", lei ha capito chi è o no?
Ambrosoli - Il grande immagino sia Sindona.
V. - No, è il signor Andreotti.
A. - Chi? Andreotti?
V. - Sì.
A. - Ah.
V. - Ha telefonato e ha detto che aveva sistemato tutto ma che la causa è sua.
A. - Ah, sono io contro Andreotti?
V. - Esatto. Perciò ci dico si stia a guardare che lo vogliono mettere a lei nei guai. [...]

    Che si faccia il nome di Andreotti non stupisce. Perché i rapporti tra Sindona e il politico scudocrociato sono oggi storia. È storia, infatti, che Andreotti si sia prodigato per salvare l'impero di Sindona, il finanziere spregiudicato. Quel Sindona dalle relazioni con mafia siciliana e italoamericana. Sindona, il mandante dell'omicidio Ambrosoli. Lo stesso Sindona che Andreotti, intervistato nel 2010, elogerà per la "competenza economico finanziaria che gli dava in mano una carta che altri non avevano".

I rapporti con Salvo Lima

   Salvo Lima è un personaggio che ha fatto carriera in fretta. Laureato in giurisprudenza, a 28 anni diventa consigliere comunale del capoluogo siciliano, a 30 ne diventa il sindaco. È il 1958, sono gli anni del miracolo economico italiano e del sacco di Palermo. Al fianco del sindaco Lima, in giunta, c'è Vito Ciancimino. Il connubio tra i due è devastante: al motto di "Palermo è bella, facciamola più bella", viene avviata una speculazione edilizia tra i cui maggiori beneficiari c'è Cosa nostra.

   Nel 1962 Lima diventa segretario provinciale della DC di Palermo. Nel 1968 entra nella Camera dei Deputati e immediatamente abbandona la corrente fanfaniana per entrare in quella andreottiana. Durante il processo ad Andreotti, l'accusa sosterrà che proprio grazie all'appoggio di Lima la corrente andreottiana passò dall'essere "una semplice corrente laziale (2% circa degli aderenti al partito della DC)" a corrente di livello nazionale (10%), "determinante per gli equilibri interni della DC".

  L'appoggio di Lima era dunque fondamentale. Lima infatti aveva conoscenze ovunque. È legato ai cugini Salvo, appartenenti a Cosa nostra, e fa entrare nella propria cerchia di conoscenze Giulio Andreotti, come si deduce dal fatto che i Salvo "nei loro colloqui con diversi esponenti mafiosi, avevano evidenziato i loro rapporti con il sen. Andreotti"¹.

   Quando nel 1972 Lima aveva già collezionato 3 richieste di autorizzazione a procedere in giudizio, mosse dal Procuratore della Repubblica che gli contestava i reati di falso ideologico in atto pubblico, interesse privato in atti di ufficio, e peculato continuato, Andreotti lo chiama a rivestire il ruolo di sottosegretario alle finanze nel suo secondo governo.

   Nel 1979 Lima lascia la Camera e approda al Parlamento europeo. Alla fine della sua carriera da deputato, le richieste di autorizzazione a procedere sono in tutto 12. Questo non induce Andreotti a distaccarsi da Lima. Anzi. Il rapporto con il neoeuroparlamentare continua. E sarebbe continuato fino alla mattina del 12 marzo 1992, quando Salvo Lima venne ammazzato da Cosa nostra.

Foto - leTrattative
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NOTE

¹ https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/06/andreotti-27-inchieste-bloccate-dalle-camere-e-ancora-oggi-segrete/585384/

² https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/06/andreotti-potere-e-misteri1-sponsor-vaticani-portano-giovane-giulio-in-alto/584922/

³ Sulle 27 richieste della magistratura, 26 delle quali avvenute tra il 1969-1984, non esistono altre informazioni. La prima fonte di questi dati sembra essere Gianni Barbacetto, nel post Parlamento pulito. Il catalogo è questo pubblicato nel suo sito societacivile.it verosimilmente tra il 2001 e il 2003, ma successivamente aggiornato. Chi sapesse qualcosa in più in merito, può contattare leTrattative alla casella email info@letrattative.it. Grazie.

⁴ https://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/04_Aprile/28/piazza_fontana.shtml

⁵ http://www.archivio900.it/it/documenti/doc.aspx?id=340

⁶ http://espresso.repubblica.it/palazzo/2009/12/09/news/piazza-fontana-la-mia-verita-1.17165

⁷ Ad esempio, è datato 16 gennaio 1979 un articolo di OP riguardante gli Ufo, dove Pecorelli si riscopre paleoufologo.

⁸ L'Europeo n.43 del 1993, Enzo Di Frenna, "1964: Aldo Moro doveva morire"

⁹ Corte di Assise di Perugia, dalla sentenza di secondo grado del 17.11.2002: "Dall'esame degli scritti pubblicati sulla rivista sono emerse cinque vicende aventi spiccate caratteristiche di pericolosità per gli interessati: il golpe Borghese, l'Italcasse, il fallimento Sindona, il dossier Mi.Fo.Biali, il caso Moro". 

¹⁰ https://books.google.it/books?id=5Fmtz3bvQBcC&pg=PA179&lpg=PA179&dq=Andreotti+vuol+chiudere+la+questione+Sindona+ad+ogni+costo&source=bl&ots=EGxQRk5T4i&sig=YgETcZsAmpD607wR6kdOVOCYnmg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiB_9TymcreAhVPJBoKHUTfBHgQ6AEwAnoECAcQAQ#v=onepage&q=Andreotti%20vuol%20chiudere%20la%20questione%20Sindona%20ad%20ogni%20costo&f=false

¹¹ http://legislature.camera.it/_dati/leg09/lavori/stenografici/sed0195/sed0195.pdf

¹² https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/08/uccisi-ambrosoli-su-ordine-di-sindona-cosi.html

¹³ https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/05/22/quelle-telefonate-piene-di-minacce.html

¹⁴ Senteza della Cassazione, 2003, pag. 10-11.


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